Se i media parlano di accordi sul grano e bombe su Gaza, Mosca apre il sistema Mir a Teheran, Hezbollan minaccia il gas offshore di Karish e la Cina fornisce tecnologia a Damasco. Il vero Big Reset
Vladimir Putin non ha incontrato Recep Erdogan a Sochi solo per parlare di grano e della centrale nucleare che i russi stanno costruendo ad Akkuyu. E Israele non ha mobilitato 25.000 riservisti unicamente per rafforzare l’offensiva a Gaza contro la Jihad islamica. C’è dell’altro. C’è un filo che unisce quello che si può definire senza timori di smentite il vero Big Reset mondiale, un cambio di paradigmi in equilibri e alleanze che sfrutta la questione ucraina per dipanarsi silenziosamente e sottotraccia. In primis, tentando di minare la compattezza della Nato attraverso il suo membro più bizzoso e prono alle divagazioni sul tema. Insomma, mentre di festeggia l’ingresso di Svezia e Finlandia. paradossalmente non ci accorge del potenziale doppio gioco della Turchia.
Il quale trova un senso nell’accelerazione che Cina e Russia stanno imprimendo alla ragnatela di rapporti tesi a organizzare e razionalizzare il fronte opposto a quello occidentale. Ad esempio, i cittadini iraniani potranno presto utilizzare per le loro transazioni quotidiane la piattaforma di pagamento russa Mir. Questo sistema di pagamento fu introdotto dalla Banca centrale di Mosca nel 2015, dopo l’applicazione del primo round di sanzioni per l’annessione della Crimea che implicò lo stop della collaborazione di MasterCard e Visa con molte banche della Federazione.
Fino a quel momento, i due giganti dei pagamenti elettronici Usa pesavano per il 90% delle transazioni in Russia. Insomma, Mir nacque come scelta emergenziale e divenne, a poco a poco, l’alternativa. E non solo per i cittadini russi. Ad oggi le carte di credito dell’operatore del Cremlino sono presenti nei portafogli di oltre 100 milioni di clienti e sono accettate in molti altri Paesi, fra cui Sud Corea, Vietnam, Turchia, Armenia, Bielorussia, Kazakhistan, Uzbekistan, Kyrghizistan, Abkazia e Ossezia e attualmente è allo studio il loro sbarco a Cuba e negli Emirati Arabi Uniti.
Ovviamente, una clientela numericamente e qualitativamente ridicola rispetto a quello dei grandi loghi che fanno capolino dalle fessure dei portafogli occidentali, come appunto Visa, Mastercard o American Express. Ma attenzione, perché se la logica della palla di neve che diviene valanga, rotolando a valle, deve sempre restare la stella polare di ogni ragionamento prospettico in chiave geopolitica. Primo, l’Iran ha appena sottoposto la domanda per entrare nei Brics. Quindi, lo sbarco di Mir nella Repubblica islamica si sostanzia come ulteriore mattone nel muro ufficialmente entrato in fase di costruzione al Forum del mese scorso a Pechino: la creazione di una valuta legata e garantita da commodities che contrasti lo strapotere benchmark del dollaro nelle transazioni internazionali. In primo luogo, appunto, quelle di materie prime. E sia Iran che Russia sono top player a livello energetico.
Il tutto reso ancora più rapido nel suo sviluppo proprio dall’estromissione delle banche russe dal sistema di pagamento globale SWIFT, in ossequio al regime sanzionatorio. Secondo, soltanto cinque giorni fa il ministro dell’Economia iraniano, Ehsan Khandouzi, ha ufficializzato l’estromissione del dollaro statunitense dalla denominazione degli accordi commerciali fra Teheran e Mosca, i quali da oggi verranno denominati unicamente in rubli. Terzo, sempre il 2 agosto le due parti hanno reso noto un accordo di fornitura per componentistica aerospaziale verso la Federazione Russa. Quarto, se a giugno Teheran ha annunciato la creazione di una tratta commerciale che unisca la Russia all’Iran via India, ecco che alla vigilia del viaggio di Vladimir Putin nella Repubblica islamica del 19 luglio scorso, Gazprom ufficializzò un accordo da 40 miliardi di dollari con la NIOC, l’azienda petrolifera statale iraniana.
Ed ecco che a complicare il quadro, il 31 luglio le milizie sciite libanesi filo-iraniane di Hezbollah hanno trasmesso un video sull’emittente Al-Manar nel quale minacciavano guerra, se Israele avesse proceduto con le trivellazione nel sito offshore di Karish, un vero e proprio El Dorado per il gas naturale. E la situazione appare fin d’ora esplosiva, stante le dinamiche globali legate al gas, tanto che il Dipartimento di Stato Usa ha immediatamente invitato le parti al dialogo, sottolineando come un compromesso sia sempre raggiungibile, se lo si vuole. Guarda caso, proprio Teheran ha avuto parole di fuoco e di vendetta verso l’offensiva israeliana su Gaza, tradendo una coda di paglia che dimostra come Tel Aviv stia cercando di minare il campo dell’influenza sciita sull’area, sponsorizzata proprio da Russia e Cina e cementata negli anni dall’operatività di Hezbollah nel conflitto siriano contro lo Stato islamico.
Ed ecco la vera ciliegina sulla torta che rischia di ribaltare completamente gli equilibri. Anche all’interno della Nato e con riferimento alla mediazione turca sul conflitto ucraino. Al netto delle esercitazioni militari che hanno di fatto accerchiato Taiwan dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei, Pechino ha annunciato la fornitura di equipaggiamento militare al governo siriano di Bashar al-Assad, di fatto il primo atto concreto alle promesse di aiuto alla ricostruzione formalizzate lo scorso anno dal ministro degli Esteri cinesi, Wang Yi, al suo omologo siriano, Faisal Mekdad, in un incontro ufficiale presso l’ambasciata del Dragone a Damasco. E non a caso, la Cina ha optato per una prima trance di aiuti prettamente militare, alla luce del via libera ottenuto dalla Turchia in sede Nato per proseguire l’offensiva a tutto campo contro i curdi, in cambio del via libera all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza atlantica.
La Siria riceverà quindi equipaggiamento tecnologicamente avanzato per comunicazioni sul campo dalla Cina ma quanto fatto filtrare da fonti dell’intelligence israeliana alla stampa parla un’altra lingua: Chiaramente stiamo assistendo solo alla punta dell’iceberg di quella che appare fin da ora un’operazione di assistenza cinese su larga scala per la ricostruzione e il potenziamento dell’esercito siriano dopo la guerra. Dal canto suo, Pechino ha già offerto la propria versione. L’aiuto a Damasco rientrerebbe in una strategia di contrasto al terrorismo internazionale, poiché stando all’intelligence cinese, i separatisti uiguri dell’ETIM starebbero attivamente combattendo al fianco di gruppi jihadisti nella città siriana di Idlib.
Come dire, Washington può lanciare le sue guerre globali contro il terrore e noi no? Il tutto in una nazione che ha visto Armata rossa e proprio Hezbollah al fianco dell’esercito regolare per la cacciata dell’Isis e dei suoi addentellati, più o meno presentabili per alcuni Paesi occidentali. Attenzione, perché tutto questo sta già accadendo. Oggi. Domani potremmo quindi svegliarci in un mondo totalmente cambiato. E i cui contorni renderanno le nostre lenti attuali pericolosamente sfuocate e inadeguate. L’offensiva di Israele, tanto repentina e improvvisa quanto determinata, lo conferma.
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