I prezzi del gas continuano a scendere: la crisi energetica in Europa è davvero finita? Tanti i fattori da considerare, tra buone e cattive notizie sul futuro del continente.
Sulla crisi energetica in Europa si fa strada una visione più ottimista: i prezzi del gas naturale sono scesi al livello più basso in quasi quattro settimane, mentre cresce la fiducia per una produzione di energia stabile per il resto dell’inverno.
I futures di riferimento sono scivolati fino al 4,5% e sul benchmark olandese stamane il gas viaggia sui 52 euro per megawattora.
I timori europei di razionamento e blackout non si sono concretizzati grazie a una combinazione di fattori. Il clima mite ha frenato la domanda di riscaldamento, mentre il continente si è affrettato a importare gas naturale liquefatto per compensare i flussi di gasdotto perduti dalla Russia. Le scorte sono ora molto più alte del solito per il periodo dell’anno.
Solo buone notizie, quindi, per i Paesi dell’Ue? Non proprio, considerando che i bilanci statali, intanto, sono stati appesantiti da enormi esborsi per far fronte al caro energia. Inoltre, il 2023 e l’inverno prossimo sono ancora incerti e dinamiche economiche potrebbero spingere a lasciare il gas nelle riserve.
Prezzi del gas scendono: le buone notizie sulla crisi in Europa
Il prezzo del gas di riferimento europeo continua a ricevere driver al ribasso, rafforzando una generale fiducia sulla capacità del continente di evitare scenari drammatici.
Aggiungendo ottimismo alle stime europee appena diffuse, secondo le quali la contrazione - e la recessione - nella regione comunitaria non ci sarà, la quotazione della materia prima nel benchmark olandese inizia la settimana in una range confortevole: i futures sul gas del primo mese sono stati scambiati in ribasso del 3,9% a 51.08€ alle 11.19 ad Amsterdam.
La sempre maggiore indipendenza dal carburante russo, sommato alle temperature non troppo gelide e alla garanzia di buone scorte, stanno giocando a favore.
In più, diversi reattori nucleari sono tornati in servizio in Francia, dopo interruzioni prolungate nella sua flotta. Anche il ritorno del reattore tedesco di Emsland prima della sua chiusura definitiva ad aprile, insieme a un’unità in Slovacchia, è stato vantaggioso, secondo il commerciante svizzero Axpo Solutions in una analisi su Bloomberg.
Inoltre, l’impianto di Gnl di Freeport in Texas ha ripreso le spedizioni dai serbatoi, una pietra miliare verso il riavvio completo, che deve ancora seguire.
Non c’è dubbio poi che attualmente l’Europa si ritrova le più alte scorte di gas da anni. La regione si è affrettata a importare gas naturale liquefatto mentre la Russia ha ridotto le forniture di gasdotti a seguito della sua invasione dell’Ucraina. Il clima mite ha anche tenuto sotto controllo la domanda di riscaldamento, contribuendo ad alleviare una storica crisi energetica.
Gli inventari regionali sono attualmente pieni in media del 65% circa, molto più del solito per il periodo dell’anno, mostrano i dati di Gas Infrastructure Europe. Le scorte potrebbero anche arrivare a fine inverno sopra il 50%, il doppio del livello dello scorso anno, secondo diversi analisti. Tutto questo genera un clima positivo per la sicurezza energetica del continente.
Il gas europeo resterà bloccato negli stoccaggi?
Sono diversi gli aspetti da considerare nella complessa questione energetica per l’Europa. Per esempio - e qui le notizie diventano meno positive - le vendite dalle scorte ora potrebbero comportare una perdita di miliardi di euro per gli utenti di energia e i contribuenti, poiché parte di quel carburante è stato acquistato con denaro statale e in parte finanziato dagli oneri di rete pagati da consumatori di gas.
L’impennata dei prezzi di mercato della scorsa estate - un periodo dell’anno in cui il gas non viene utilizzato per il riscaldamento e i prezzi sono normalmente inferiori a quelli invernali - è costato caro agli acquirenti nell’Unione europea.
La fattura totale delle importazioni di gas del blocco è salita a un record di 101 miliardi di euro nel terzo trimestre, più del triplo rispetto all’anno precedente, secondo un rapporto della Commissione europea. Gran parte di quel carburante è stato messo in deposito.
Verso la fine di agosto, quando la crisi dell’approvvigionamento di gas era al culmine, i prezzi day-ahead presso il principale hub commerciale di Amsterdam superavano i 300 euro per megawattora. I dati della Commissione mostrano che i prezzi per i contratti di importazione erano per lo più inferiori ai tassi a pronti e che i costi effettivi variavano notevolmente.
I futures di riferimento sono ora scambiati appena sopra i 50€, vicino ai livelli più bassi da settembre 2021. Morgan Stanley ha dichiarato all’inizio di questo mese che i prezzi probabilmente scenderanno ulteriormente, con le scorte nei principali membri dell’Ue che chiuderanno la stagione di riscaldamento in media al 59%.
Ciò potrebbe significare cattive notizie per chiunque cerchi di vendere gas dagli inventari.
“Se gli acquirenti non hanno coperto i volumi immagazzinati la scorsa estate, cercheranno di mantenere quel gas in deposito fino a quando i prezzi non aumenteranno potenzialmente il prossimo inverno o ulteriormente in futuro”, ha affermato l’analista di BloombergNEF Stefan Ulrich. “Tuttavia, sembra improbabile che gli acquirenti saranno in grado di recuperare integralmente i costi di acquisto a meno che il mercato non si restringa drasticamente.”
Cosa può comportare questo? Alcuni acquisti la scorsa estate sono stati effettuati da aziende che hanno usufruito di aiuti di Stato, soprattutto in Germania, il maggior consumatore. Ciò potrebbe lasciare i contribuenti esposti ad aumenti. Per le società, infatti, vendere spot a prezzi bassi quel gas acquistato a prezzi invece record si tradurrà in perdite.
Trevor Sikorski, responsabile del gas naturale, carbone e carbonio presso Energy Aspects Ltd ha commentato: “Questa perdita sarà sostenuta solo dai contribuenti piuttosto che dagli azionisti.”
La crisi energetica pesa sui bilanci di Stato
Un’altra considerazione riguarda le casse degli Stati. Basterà fare due conti per capire quanto è costata finora all’Europa la crisi del gas.
Per proteggere le famiglie e le aziende dall’aumento dei costi energetici il conto degli Stati Ue è salito a quasi 800 miliardi di euro.
I Paesi dell’Unione Europea hanno ora stanziato 681 miliardi di euro, mentre la Gran Bretagna ha stanziato 103 miliardi di euro e la Norvegia 8,1 miliardi di euro da settembre 2021, secondo l’analisi del think tank Bruegel.
La Germania è in testa alla classifica delle spese, stanziando quasi 270 miliardi di euro, una somma che ha eclissato tutti gli altri. Gran Bretagna, Italia e Francia sono state le seconde più dispendiose, anche se ciascuna ha speso meno di 150 miliardi di euro.
Tutto questo comporta una serie di interrogativi, non buoni. Innanzitutto per i bilanci statali e il peso del debito, in aumento.
E poi, Bruegel ha affermato che i governi hanno concentrato la maggior parte del sostegno su misure per ridurre il prezzo al dettaglio che i consumatori pagano per l’energia, come le riduzioni dell’IVA sulla benzina o i limiti sui prezzi al dettaglio dell’energia elettrica.
Il think tank ha affermato che la dinamica deve cambiare, poiché gli stati stanno esaurendo lo spazio fiscale per mantenere finanziamenti così ampi:
“Invece di misure di soppressione dei prezzi che sono de facto sussidi ai combustibili fossili, i governi dovrebbero ora promuovere più politiche di sostegno al reddito mirate a chi è in basso nella distribuzione del reddito e ai settori strategici dell’economia.”
I bilanci statali possono esplodere. La crisi energetica lascerà segni ancora per molto.
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