A lungo ritenuto annunciatore di un rallentamento dell’economia, ora questo indice fa ben sperare sui prossimi mesi.
Per diversi mesi abbiamo utilizzato la curva dei rendimenti statunitensi per preannunciare l’arrivo di una recessione. Questo perché, alla luce della maggiore aleatorietà nei periodi di tempo più lunghi, in condizioni normali a scadenze più lontane corrispondono rendimenti maggiori.
Di conseguenza, una curva che misura l’andamento dei rendimenti dei titoli di Stato, nel nostro caso statunitensi, in condizioni normali presenta un’inclinazione positiva (più lunghe le scadenze, maggiori i rendimenti).
Una situazione di anormalità si registra invece quando i rendimenti della carta a breve scadenza superano quelli della lunga: questo determina la cosiddetta “inversione della curva”, che è tradizionalmente considerata come segnale di recessione perché segnala che gli investitori hanno maggiori incertezze sul breve termine.
L’andamento della curva dei rendimenti statunitensi ha preannunciato tutte le recessioni degli ultimi 50 anni.
Curva dei rendimenti Usa: ritorno a normalità è merito della Fed
Nella prima parte del 2019, l’inversione della curva dei rendimenti statunitense ha più volte innescato allarmi sulla tenuta della prima economia.
Ma, nel corso dell’anno, i tre tagli al costo del denaro messi in campo dalla Federal Reserve (che vanno a sommarsi agli altri interventi per fornire liquidità al sistema) e l’ottimismo che circonda le trattative commerciali sull’asse Washington-Pechino, hanno permesso alla curva dei rendimenti di chiudere il 2019 al livello migliore da inizio anno.
La curva dei rendimenti statunitense, che misura la differenza tra i rendimenti nel breve e lungo termine, dopo esser scesa in territorio negativo nel mese di agosto (-5 punti base), al momento, spinta dalla risalita del decennale e dalla contestuale stabilità del titolo a due anni, quota 33 punti base.
Curva dei rendimenti Usa: attenzione all’eccessivo ottimismo
Questo in un contesto in cui lo statunitense S&P500 nel 2019 ha fatto segnare un incremento di quasi 32 punti percentuali e l’indice che misura l’andamento dell’azionario globale, il FTSE All World index, nel 2019 è salito di 24 punti percentuali, il dato maggiore dal 2009 (quando i mercati finanziari hanno iniziato la ripresa dalla grande crisi).
“Siamo fuori dalle secche”, ha detto Mike Mullaney, direttore della ricerca di Boston Partners. “Gli indicatori anticipatori globali iniziano a migliorare”.
Minore ottimismo arriva da Peter Boockvar, Chief investment officer di Bleakley Advisory Group: “chi si aspetta una ripresa della crescita dopo l’accordo commerciale (di fase uno, ndr) non sta calcolando che la maggior parte delle tariffe sono ancora in vigore”.
“Nella migliore delle ipotesi –continua Boockvar – la crescita statunitense si attesterà al 2% nel 2020, l’incremento del Pil europeo non andrà oltre l’1% e la Cina è ancora in rallentamento”.
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