Gli Usa «suggeriscono» all’Ue di imporre un bando sull’export di chip verso la Cina

Mauro Bottarelli

1 Novembre 2022 - 16:00

Biden chiede «strategia russa» nei confronti di Pechino. E preme sull’olandese ASML per bloccare le forniture, temendo il contagio tedesco. L’atlantismo italiano è una rischiosa polizza assicurativa?

Gli Usa «suggeriscono» all’Ue di imporre un bando sull’export di chip verso la Cina

Rafforzare le restrizioni bilaterali dell’export di microchip verso la Cina, nel solco del regime sanzionatorio posto in essere nei confronti della Russia. Ecco l’ultima, geniale intuizione di Washington per schiantare del tutto l’economia dell’eurozona, già con un piede abbondantemente in recessione.

E se molti analisti vedono complicato un abbandono da parte Ue di uno dei commerci più lucrativi in assoluto, giova sottolineare come Bai Ming, direttore dell’International Market Research Institute del ministero del Commercio cinese sia immediatamente intervenuto nel dibattito, sottolineando come una tale decisione si configurerebbe come aperta violazione dei diritti di libero commercio del suo Paese e degli accordi bilaterali.

Il 7 ottobre scorso, il Bureau of Industry and Security (BIS) del Department of Commerce statunitense ha svelato una serie di nuove restrizioni allo studio rispetto alle esportazioni di componentistica ritenuta strategica per la sicurezza nazionale, fra cui i cosiddetti high-end chips e gli equipaggiamenti necessari alla produzione. Non a caso, in perfetta contemporanea con il Congresso del PCC che ha incoronato Xi Jinping, Taiwan rendevano noto il suo stop a ogni tipo di forniture e collaborazione verso la Cina attraverso la TSMC, leader assoluta del settore di chip e semiconduttori.

Oggi, il suggerimento agli alleati europei. I quali hanno potuto già apprezzare l’efficacia della moral suasion statunitense nella materia, quando a inizio 2020 l’Olanda cedette alle pressioni del Dipartimento di Stato e bloccò le esportazioni in Cina di attrezzature per la litografia ultravioletta estrema (EUV), necessaria proprio per la produzione dei sofisticati chips high-end e di quelli di grandezza inferiore ai 22 nanometri.

Ora Washington punta al bersaglio grosso, Ovvero, bloccare la fornitura da parte dell’olandese e leader del settore ASML Holding di equipaggiamento DUV verso la Cina, quello a più alta apertura numerica e risoluzione. Se gli Usa dovessero ottenere il loro scopo, la Cina diverrebbe incapace di produrre la gran parte dei semi-conduttori più diffusi. Di fatto, un atto di guerra, Commerciale ma non solo. E se con un comunicato del 19 aprile, la medesima ASML rendeva nota la sua intenzione di valutare e seguire le nuove restrizioni statunitensi, altresì pareva sposare la linea dell’attendismo diplomatico, sottolineando come le nuove restrizioni non riguardassero - se non limitatamente - le proprie esportazioni verso il Dragone.

Di più, nonostante fonti citate sotto anonimato da Bloomberg abbiano riferito come, al momento, l’Ue non paia intenzionata a valutare l’adozione di un regime di bando sull’export ampio come quello implementato contro la Russia, ieri la rappresentante Usa per il Commercio, Katherine Tai, avrebbe partecipato a un meeting informale con funzionari statunitensi ed europei di alto livello a Praga. Il tutto in vista del terzo meeting del Trade and Technology Council previsto per il 5 dicembre, data entro la quale Washington vorrebbe incassare il sì definitivo di Bruxelles.

E se la risposta cinese a questa accelerazione non si è fatta attendere,

sia attraverso il quotidiano a controllo statale Global Times che attraverso gli interventi diretti di membri del governo, ecco che la ragione della fretta statunitense avrebbe la sua ragion d’essere in questo atto di rottura sempre meno tollerato.

Se da un lato Washington teme che il legame storico in seno al fronte rigorista dell’Ue fra Germania e Olanda possa convincere L’Aja e la sua corazzata dei microchip a disattendere il suggerimento statunitense e anzi aumentare il focus verso il mercato cinese, dall’altro lo stesso Financial Times che oggi in un editoriale criticava pesatamente proprio la visita di Olaf Scholz a Pechino,

si è trovato costretto a prendere atto dell’ennesima intemerata di Emmanuel Macron contro il double standard degli Usa in fatto di commercio. Oltretutto ponendo l’accento sulle perdite in cui l’Ue andrebbe incontro sul mercato topico del green e a causa delle norme protezioniste del Buy american volute dall’amministrazione Biden (ma il sovranista e isolazionista era Donald Trump).

Alla luce di uno scontro, esiziale, epocale e strategico di questa portata, come valutare il profilo ultra-atlantista del governo Meloni? Una cosa appare certa: le nomine di due personalità di provata avversione verso la Cina come Adolfo Urso e Guido Crosetto a due dicasteri chiavi in materia come Sviluppo economico e Difesa parlano chiaro. Chiarissimo. Insomma, Palazzo Chigi sembra aver optato per la stipula di un’assicurazione sulla vita politica con la solidissima compagnia d’Oltreoceano.

Quindi, garanzia di ruolo preminente nelle dinamiche NATO (anche a livello di appalti per armi e mezzi) e, soprattutto, una finanza USA al proprio fianco, in caso di bizzarrie dello spread. O della BCE. Scelta legittima. Ma pericolosissima. Perché in caso di asse Germania-Francia-Olanda a tutela del commercio europeo, chiamarsi fuori equivale non solo a isolamento ma -soprattutto - all’ufficializzazione di rapporti al minimo storico con Cina e Russia. A meno che, in nome del sovranismo, Giorgia Meloni non punti a trasformare l’Italia nel 52mo Stato degli Usa.

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