Un certificato di negatività al coronavirus per viaggiare in Italia: la proposta avanzata da Sardegna e Sicilia in vista delle vacanze.
Un certificato di negatività per spostarsi in Italia per le vacanze al tempo del coronavirus: questa una delle ipotesi allo studio delle Regioni, in cerca di misure di sicurezza da attuare in vista del 3 giugno, data X per il via libera al turismo.
L’ipotesi certificato di negatività ha preso piede nelle ultime settimane sia in Sardegna che in Sicilia, ma non avrebbe convinto le istituzioni. Troppe le variabili in campo, e la certezza di un’immunità dal virus ancora non c’è: per questo si starebbero valutando anche altre opzioni per quando l’Italia riaprirà i confini regionali e nazionali.
Certificato di negatività per viaggiare: cos’è e come funziona
Delineare un meccanismo di tutela per quando si potrà tornare a viaggiare potrebbe evitare l’insorgere di nuovi focolai. In prima linea Sardegna e Sicilia, due isole felici che in queste ore hanno raggiunto l’obiettivo ‘contagi zero’. Una delle ipotesi sul tavolo è quella di istituire un certificato di negatività: chiunque volesse mettersi in viaggio dovrebbe sottoporsi a un esame non prima di 7 giorni dalla partenza che attesti la non positività al coronavirus. In questo modo le isole maggiori diverrebbero praticamente a ‘numero chiuso’.
Sono stati i rispettivi governatori, Christian Solinas e Nello Musumeci a rilanciare la proposta al Governo ma il Ministro della Salute Roberto Speranza e quello agli Affari Regionali Francesco Boccia hanno ribadito ancora una volta come non esistano patenti di immunità o negatività, smentendo quindi la fattibilità del progetto.
Certificato di negatività: non esiste un test adeguato
I dubbi su un’operazione di verifica degli infetti come quella adoperata attraverso il certificato di negatività ruotano soprattutto attorno al fatto che non esista un test adeguato.
Il test sierologico ad esempio fornisce informazioni solo sull’incontro con il virus ma non sulla positività attiva, mentre quello molecolare, che rimane il più attendibile per la diagnosi, non è disponibile neanche a pagamento. Poi c’è il classico tampone orofaringeo, ancora retaggio di pochi eletti, e l’esame della saliva, richiesto espressamente dalla Regione Sardegna, che però potrebbe non essere messo a disposizione nemmeno nelle prossime settimane.
È al vaglio anche un piano B, con soluzioni più realistiche come quella di utilizzare termoscanner in tutti i luoghi di transito o quella di sfruttare un’applicazione per tracciare gli spostamenti di chi arriva in aereo o traghetto. Una strategia su cui anche altre Regioni stanno riflettendo.
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