Vengono denunciate violenze sessuali nel metaverso, ma la legge consente di punire reati avvenuti su piattaforme virtuali? Ecco cosa c’è da sapere.
In questi giorni abbiamo appreso che la polizia britannica sta indagando su un caso di violenza sessuale nel metaverso. A denunciarlo una sedicenne, il cui avatar avrebbe subito le violenze durante il videogioco. Chi si sta occupando del caso ha sottolineato che gli eventi hanno un impatto emotivo e psicologico anche se si sono svolti in modo virtuale,
Non è la prima volta che accadono casi simili, ma le incertezze sono moltissime, tra controllo e punibilità. Il metaverso è ancora un fronte inesplorato da tanti punti di vista, soprattutto a livello legale. Ci chiediamo dunque se sia possibile commettere reati nel metaverso, dato che simula in tutto e per tutto la realtà, ma manca di elementi fondamentali (come il contatto fisico).
Siamo di fronte a un’ulteriore espansione dei crimini informatici che manca di una specifica normativa, ma non può nemmeno essere completamente estesa agli ordinamenti vigenti. Proviamo a capire come si configurano i crimini nel metaverso allo stato attuale delle cose e come sono punibili.
Violenza sessuale nel metaverso, è reato?
Il caso britannico è solo uno dei molti documentati in tema di violenze sessuali commesse nel metaverso, da avatar ai danni delle vittime virtuali. È palese che ci possano essere delle implicazioni psicologiche, dunque danni effettivi che colpiscono la persona fisica anche se i fatti si svolgono virtualmente.
Non si può però parlare di violenza sessuale in senso penale, perché il nostro Codice penale presume chiaramente il contatto fisico. Così, anche in molti altri paesi. Proprio un ufficiale britannico che si sta occupando del caso ha dichiarato che potrebbe essere impossibile perseguire l’accaduto come un reato, proprio perché le leggi esistenti presuppongono il contatto fisico.
È vero che in alcuni casi la giurisprudenza ha superato questo presupposto, ma nei casi in cui era assente il contatto fisico tra colpevole e vittima poiché quest’ultima era costretta a compiere su di sé atti sessuali. Un’interpretazione che non si può estendere alla realtà virtuale, pur quando molto realistica.
Il medesimo principio si applica a tutti i reati che si basano sul contatto, come le lesioni, le percosse e così via. Dunque, non essendoci reato non si può contare sulla legge per tutelarsi da questi atti. Per questo motivo alcuni gestori di piattaforme virtuali, tra cui per prima Meta, hanno introdotto bolle protettive che impediscono il “contatto” tra avatar.
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Quali reati si possono commettere nel metaverso
La mancanza di contatto fisico impedisce la perseguibilità di molti atti, ma non tutti i reati necessitano di questo presupposto. Anche nel metaverso si possono infatti avere i seguenti reati:
- Stalking;
- danneggiamento (del sistema informatico);
- diffamazione (rivolta al soggetto reale);
- minacce (anche queste rivolte al soggetto reale);
- pedopornografia, anche se vengono utilizzate foto di minori falsamente rappresentati in pratiche sessuali;
- istigazione al suicidio.
Si hanno poi numerosi reati proprio tipici del mondo virtuale, come il furto d’identità digitale e la frode informatica. Il presupposto è sempre quello che i fatti siano commessi e subiti dalle persone fisiche e non dai loro avatar. Questi ultimi possono essere al più un mezzo.
Come si puniscono?
A rispondere dei reati devono essere le persone fisiche che li hanno commessi, non certamente gli avatar. L’applicazione della legge non cambia perché il fatto è avvenuto a mezzo di una realtà virtuale, purché la legge lo identifichi come reato.
L’unico problema in questo senso è l’identificazione dei colpevoli, non sempre semplice. Manca una rete di controllo e di sicurezza, il che potrebbe perfino dar modo di incentivare alcuni comportamenti criminosi. Servono quindi degli interventi in merito, soprattutto per garantire l’identificazione degli utenti (comunque da bilanciare con la privacy) e per agire a livello preventivo.
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