Il prezzo del petrolio oscilla e non mantiene il guadagno di inizio seduta. Le quotazioni Brent e WTI scambiano a circa 113 dollari al barile, mostrando una volatilità simbolo dell’incertezza globale.
Il prezzo del petrolio è scivolato e ha spazzato via il modesto guadagno di questa settimana, tra i timori che l’inflazione energetica e non solo si stia aggiungendo ai rischi per l’economia globale.
I mercati dei combustibili si sono inaspriti a livello mondiale in seguito all’invasione russa dell’Ucraina a fine febbraio, che ha sconvolto i flussi commerciali e alimentato i prezzi al consumo.
L’amministrazione Biden sta contattando le compagnie petrolifere per chiedere informazioni sul riavvio delle raffinerie chiuse, secondo indiscrezioni, allo scopo di freddare i prezzi.
Il petrolio è avanzato nelle ultime quattro settimane, portando i guadagni di quest’anno a oltre il 50% e molti analisti ritengono che le prospettive immediate rimangano rialziste.
Tuttavia, ci sono diversi aspetti da considerare e che testimoniano la complessità della situazione attuale: dal rallentamento cinese alle sanzioni contro Mosca. Come cambierà, ancora, il prezzo del greggio?
Il petrolio oscilla e il G7 esorta l’Opec
Alle ore 15.25 circa, i contratti WTI scambiano a 113 dollari al barile circa, con una flessione dello 0,25% e i future sul Brent segnano 114 dollari al barile, in calo dello 0,13%.
La volatilità accompagna il mercato petrolifero in questi giorni. I motivi sono diversi.
Gli automobilisti statunitensi devono affrontare costi crescenti mentre la nazione entra nel periodo di punta delle vacanze di guida con scorte di benzina al livello stagionale più basso dal 2014.
Intanto, Bank of America ha avvertito che una “perdita di esportazioni russe in seguito all’invasione dell’Ucraina potrebbe innescare una vera e propria crisi petrolifera in stile anni ’80”.
“Se l’offerta non si riprende, la domanda di petrolio potrebbe dover allentarsi”, hanno scritto in un rapporto gli analisti della Bank of America guidati da Francisco Blanch, affermando che i futures sul Brent potrebbero salire a $150 al barile.
Poi c’è la Cina, alle prese con la sua strategia zero-Covid. Il premier Li Keqiang ha dato il suo più severo avvertimento sull’economia, sottoposta a gravi pressioni da focolai di Covid e blocchi, suggerendo che l’obiettivo di crescita del Governo di +5,5% si sta allontanando.
La debolezza del dragone ha frenato la domanda, evitando un ulteriore balzo dei prezzi.
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Tuttavia, “con l’arrivo della stagione di guida, le raffinerie che escono dalla manutenzione e il clima in Medio Oriente che diventa più caldo, la domanda di petrolio aumenterà e le scorte di petrolio sono basse”, ha affermato Giovanni Staunovo, analista di UBS AG a Zurigo.
A testimonianza di questi problemi, i ministri dell’Energia del G7 hanno invitato il gruppo Opec dei Paesi produttori di petrolio a pompare più greggio, mentre la guerra in Ucraina spinge i prezzi ai livelli più alti degli ultimi dieci anni.
L’Arabia Saudita, in realtà, ha resistito alle pressioni occidentali per accelerare gli aumenti della produzione e contribuire a ridurre i prezzi, insistendo sul fatto che l’offerta non manca.
Un ulteriore scossa, infine, potrebbe arrivare da un accordo sull’embargo europeo al petrolio russo.
In questa cornice, i mercati rimangono in backwardation, un modello rialzista caratterizzato da prezzi a breve termine scambiati al di sopra di quelli a più lunga data.
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