La Farnesina ha una rete diplomatica in continua estensione e dal Vaticano al terzo settore sono molti i sistemi con cui l’Italia può giocare di sponda nel continente più conteso del presente.
Sergio Mattarella ha firmato il decreto del governo Meloni che crea la cabina di regia per il “Piano Mattei” per l’Africa, il quale sta gradualmente passando dalla dimensione dei proclami a quella della concretezza. Perlomeno nella formalizzazione politico-istituzionale. C’è la cornice, ma ora il quadro va dipinto. E i rischi politici non sono pochi: dove va l’agenda Meloni per l’Africa? Può bastare il richiamo a Enrico Mattei per valorizzare davvero i legami tra l’Italia e il sistema trans-mediterraneo dei Paesi africani?
La squadra del Piano Mattei
Innanzitutto, prima della visione strategica e di sistema c’è il dato di fatto della struttura di missioni. La prima conseguenza diretta del Piano Mattei è che, stando al decreto, impiegherà 2,1 milioni di euro l’anno per remunerare diciannove posti di lavoro, ivi compresi “due unità dirigenziali di livello generale, tra cui il coordinatore, due unità dirigenziali di livello non generale e da 15 unità di personale non dirigenziale, individuate tra la presidenza del Consiglio dei ministri e tra il personale dei ministeri e di altre amministrazioni pubbliche”. Ampi i campi d’intervento, come ricorda il decreto: “cooperazione allo sviluppo, promozione delle esportazioni e degli investimenti, istruzione e formazione professionale, ricerca e innovazione, salute, agricoltura e sicurezza alimentare, approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali”. [...]
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