La startup nata a Caserta ha fatto della sostenibilità e dell’etica del lavoro la sua ricchezza. E ora, con un piano di sviluppo che prevede la presenza in oltre 400 comuni e nuove 3000 assunzioni, punta a diventare il food delivery di riferimento dei piccoli centri in Italia.
Il suo nome ricorda quello di un amico di famiglia o di quartiere che ti consegna il cibo a casa: è proprio questa l’idea di partenza di Alfonsino, il food delivery “cucito su misura” per le piccole città. Nato a novembre 2016 da un’idea di 3 giovani casertani (Carmine Iodice, Domenico Pascarella e Armando Cipriani), Alfonsino Delivery oggi ha quasi 950 ristoranti affiliati ed è presente in 300 città in 6 regioni.
Il suo obiettivo è diventare il servizio di consegna a domicilio leader per i piccoli centri, spesso snobbati dai colossi del food delivery.
Grazie anche a una campagna di equity crowdfunding che ha raccolto oltre 460mila euro, Alfonsino mira a raggiungere più di 400 comuni in tutta Italia entro il 2022. Il piano di sviluppo prevede anche l’assunzione di 3000 nuovi rider, tutti assunti con regolare contratto che garantisce tutele, un trattamento economico e una flessibilità lavorativa di cui la società va fiera. Alfonsino è stata la prima compagnia di food delivery in Italia a fare del benessere dei suoi dipendenti la sua mission.
Abbiamo fatto due chiacchiere con il CFO di Alfonsino, Valerio Chiacchio. Qui potete leggere l’intervista completa.
Com’è nata l’idea di fondare una startup di food delivery per i piccoli centri e perché avete scelto il nome Alfonsino?
Alfonsino è nata nel 2016 a Caserta, classica città di provincia con circa 100mila abitanti, sulla scia della necessità di usufruire di un servizio che qui era inesistente o quasi, e riservato solo alle grandi città.
Abbiamo scelto il nome Alfonsino per ispirare fiducia e familiarità. Si parlava con un bot, ma si doveva avere la sensazione che dall’altra parte dello schermo ci fosse una persona.
Come si è evoluto il servizio in fatto di tecnologia e che tipo di lavoro avete fatto sul brand?
All’inizio Alfonsino viaggiava solo su circuito Facebook Messenger ed era automatizzato al 100%, per poi evolversi in app-bot grazie a una serie di funzionalità messe a disposizione da Facebook a partire dal 2017. Dopodiché abbiamo sviluppato la nostra app per iOS e Android, e oggi siamo l’unica piattaforma di food delivery che permette di ordinare sia tramite applicazione scaricabile su device che dalla chat di Messenger. Con l’app abbiamo raggiunto livelli di user experience che con il chatbot di Facebook non era possibile avere: abbiamo ottimizzato il timing per l’ordering e offerto varie opzioni di servizi alternativi per i clienti.
Qual è la differenza tra Alfonsino e i grandi e blasonati servizi di food delivery?
Ci sono delle differenze dettate dalle modalità di approccio. I colossi, nati per le metropoli, cercano di replicare il modello pensato nelle grandi città nei piccoli centri, e ciò può creare disservizi soprattutto in termini di consegna. Ti spiego: il classico food delivery suddivide la città all’interno di una serie di aree per dare al cliente la possibilità di ordinare a una distanza prestabilita in base al punto in cui si trova il locale in cui vuole ordinare. Questo vuol dire che in una piccola città un cliente può avere la possibilità di ordinare da un locale piuttosto che da un altro a seconda della posizione in cui si trova. Noi invece stabiliamo un punto X e attorno a questo definiamo un raggio di azione all’interno del quale individuiamo prima i locali, e poi gli utenti che possono ordinare. In sintesi noi mettiamo al centro del nostro sistema “logistico” l’area di competenza, il colosso stabilisce le distanze sulla base di dove si trova il locale di riferimento.
Alfonsino è alla sua seconda campagna di crowdfunding (su 200crowd, ndr). Quali obiettivi avete raggiunto con la prima raccolta e quali sono gli obiettivi prefissati con questo nuovo round?
Nella prima campagna lanciata nel 2018, la valutazione pre-money di Alfonsino era di 1 milione di euro, capitale richiesto 150mila euro raccolto in circa 48 ore. I fondi raccolti sono stati investiti nell’apertura in 20 nuove città nel biennio 2018-2020. Abbiamo rispettato ampiamente le previsioni in termini di aperture e di fatturato.
Quando abbiamo lanciato la prima campagna eravamo reduci da un bilancio depositato al 2017 pari a 80mila euro circa; nel 2019, ultimo anno del piano di espansione lanciato con la prima campagna di crowdfunding, siamo passati a un fatturato di 1,2 milioni di euro.
Le somme raccolte con la seconda campagna, pari a circa 450mila euro, puntiamo a 24 nuove aperture in 24 mesi in tutta Italia, sia nel Centro-Sud dove siamo già ben posizionati sia al Nord.
Il nostro obiettivo è diventare il food delivery di riferimento dei piccoli centri in Italia.
In questi mesi c’è stato il boom dei servizi di food delivery. A voi come è andata?
A noi, ma a tutto il segmento del delivery, la pandemia ha portato un grosso balzo in avanti sia in termini di fatturato che di operations. Questo nonostante la Campania (che rappresenta oltre il 50% dei nostri volumi) sia stata l’unica regione d’Italia a vietare anche il delivery.
Durante il primo lockdown abbiamo lanciato Alfonsino Grocery, servizio che ti consegnava a casa la spesa da supermercati e negozi di beni di prima necessità (comprese farmacie, ottiche, pet food) nella città di Caserta e in altre 3 città che stiamo testando attualmente. Crediamo che entro fine 2021 riusciremo a creare una sorta di spinoff di Alfonsino sulla spesa, stringendo accordi con catene di supermercato nazionali.
Si stima che la consegna di cibo online crescerà fino a diventare un business da 200 miliardi di dollari entro il 2025. Quali sono, a tuo avviso, i nuovi trend per il settore del food tech e le modalità di distribuzione dei pasti? Dove andranno i servizi di food delivery nei prossimi 5 anni?
Un trend che stiamo seguendo con interesse è quello delle dark kitchen (modello di ristorazione che prevede solo una cucina, e i cibi preparati vengono consegnati a domicilio, ndr). Stiamo cercando di capire se questo modello possa avere un impatto anche all’interno dei piccoli centri.
Ci sono i droni nel prossimo futuro del food delivery in Italia?
Quello di sicuro è il futuro. l problema è capire quanto sia distante, poiché entrano in gioco fattori non solo normativi ma anche logistici, per ora difficili da realizzare. Noi operiamo in un Paese con sviluppo secolare, con città che ereditano la loro conformazione dal Medioevo, e risulta davvero difficile ad oggi immaginare un servizio di consegna totalmente robotizzato.
Che consigli dai a chi vuole aprire una startup di food tech oggi?
Io credo che la prima cosa sia capire l’esigenza che si vuole soddisfare. Quando abbiamo fondato Alfonsino il nostro primo pensiero non è stato quello di lanciare una startup per fare i soldi; volevamo semplicemente ordinare cibo a domicilio come facevano i nostri amici a Milano o a Roma. Questo è ciò che ci ha spinto a lavorare gratis e anche di notte.
Che tipo di contratto e tutele offrite ai vostri rider?
I nostri rider, che chiamiamo driver perché oltre allo scooter e alla bici possono usare anche l’auto per le consegne, hanno per noi un ruolo fondamentale, ed è per questo che cerchiamo di tutelarli il più possibile non solo dal punto di vista normativo ma anche operativo. Vengono assunti con regolare contratto di collaborazione, contributi Inps e copertura Inail versati dall’azienda. Gli viene garantito un fisso mensile (possono arrivare a guadagnare anche 2.000 euro netti), e ogni lunedì ricevono un bonifico per i compensi maturati nella settimana precedente. L’unica spesa che hanno è la benzina, mentre il kit - zaino, divisa invernale, estiva e giubbotto catarifrangente - viene fornito gratuitamente dall’azienda.
Su Alfonsino è possibile pagare sia con carta di credito che in contanti. Come mai questa scelta “controtendenza”?
In questo modo riusciamo a garantire una liquidità immediata ai ristoranti. Quando il cliente sceglie di pagare in contanti (al costo di 1 euro in più) il driver, con un fondo cassa, va a ritirare la merce e paga l’ordine al ristorant. Al momento della consegna al cliente il driver avrà rimborsato il suo fondo cassa e il ristoratore ha già in cassa il valore della merce che ha venduto. Le grandi compagnie, che lavorano solo con pagamenti elettronici, invece, fanno il rendiconto solo a fine mese, con i locali che possono aspettare anche più di un mese per incassare il corrispettivo della merce venduta.
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