La svolta della mobilità a zero emissioni può mettere in crisi il settore industriale: molte industrie di componenti si troveranno senza lavoro. Sopravviverà chi potrà adattarsi al cambiamento.
Le auto elettriche fanno bene all’ambiente ma non all’industria. Almeno per quanto riguarda le numerose aziende produttrici di componenti che in una decina d’anni si troveranno il lavoro dimezzato fino a fare i conti con il fallimento.
Il fenomeno non interessa soltanto la filiera italiana. Il Parlamento europeo, con l’ultimo voto di ottobre, ha abbassato ulteriormente l’asticella delle emissioni a cui le case automobilistiche dovranno sottostare implementando la tecnologia elettrica, per veicoli ibridi e per gli EV.
La crisi del motore termico è trainata soprattutto dalla fine del Diesel: in tutta Europa la quota di mercato delle auto a gasolio è scesa dal 55% al 38%, intaccando il 7% delle aziende che attorno al motore Diesel hanno basato la loro industria con oltre 17mila lavoratori.
Se da un lato la mobilità elettrica porterà nuovo lavoro nel settore energetico più che nell’automotive, secondo l’Osservatorio sulla componentistica italiana in realtà spaventa ora il 30% dei fornitori, circa 650 compagnie.
Auto elettrica dannosa per l’industria?
Lo scorso anno il presidente di AsConAuto Giorgio Boiani prevedeva che l’arrivo dell’auto elettrica sarebbe costato il lavoro a mezzo milione di italiani impiegati nella filiera automotive.
Questo perché il motore elettrico è costruito con meno di una cinquantina di componenti, una cifra nettamente inferiore ai circa 3000 pezzi di cui ha bisogno un’unità Diesel. Addio al cambio manuale, quindi differenziali, frizioni e sistemi di scarico solo per dirne alcuni. I motori delle auto di domani non avranno bisogno di carburatori e dei numerosi collettori oggi in abbondanza sulle auto con motore endotermico.
In Italia, come in altre parti d’Europa, ci sono aziende che da mezzo secolo producono i componenti necessari ai sistemi sopra elencati, che in pochi anni saranno obsoleti.
Quali aziende resisteranno?
In questo caso rimarranno le aziende capaci di adattarsi alle nuove esigenze dell’industria automotive, ma non sarà facile per costi e strumenti all’interno delle fabbriche.
Finora meno del 20% delle aziende ha collaborato allo sviluppo di motori elettrici o ibridi, mentre meno del 70% non ha svolto alcun lavoro sulle nuove tecnologie. Parte della responsabilità in Italia è anche del ritardo di FCA, il gruppo italo americano che sul suolo nazionale è il primo cliente della filiera dei fornitori e che ad oggi ancora non ha sviluppato progetti importanti in Italia sull’elettrificazione.
Come ricorda Giuseppe Barile, presidente dei componentisti Anfia, la Renegade ibrida e la 500 elettrica stanno partendo soltanto ora, ma la transizione è molto rapida e se la filiera non si attiva rischierà di rovinare metà del comparto e quindi circa 80mila addetti.
L’elettrificazione tra danni e benefici
L’esempio più recente delle conseguenze immediate dell’elettrificazione è fornito da Giacomo Casati, imprenditore a capo della Fonderia Casati che deve il 90% dei ricavi al settore automotive.
Un importante contratto milionario con Renault per la fornitura di collettori di scarico da 120mila pezzi l’anno che doveva terminare nel 2023 è stato ritrattato e terminerà nel 2020 causando un danno all’azienda.
Come questa, sono tantissime le compagnie che in Italia si occupano di componenti che andranno incontro alla crisi, mentre altre vedranno crescere il loro business.
Per compensazione, le auto elettriche avranno più bisogno di produttori di scocche di alluminio, di aziende che sanno trattare con l’elettricità. Un esempio è la Marsilli, che produce sistemi di avvolgimento e assemblaggio per bobine e motori e meccanismi per sistemi di raffreddamento delle batterie. Quindi chi produce i piccoli motori elettrici attualmente sulle auto termiche come il motorino di avviamento, non risentiranno della mobilità elettrica.
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