Avvocata o avvocatessa? Come si indica correttamente l’avvocato donna? Il parere della Treccani e dell’Accademia della crusca.
Come si chiama l’avvocato donna?
È la domanda che ogni giurista si è posto almeno una volta nella vita, alla quale cercheremo di dare una risposta completa ed articolata.
Si tratta di una questione più complessa di quanto si possa pensare perché si inserisce nella problematica inerente la formazione del femminile dei nomi professionali, dove, oltre alle regole della grammatica italiana occorre fare i conti con il sessismo diffuso.
Vediamo qual è il parere dell’enciclopedia Treccani e dell’Accademia della crusca.
La questione
Le donne che praticano l’attività forense sanno bene quanto sia sentita la questione inerente la forma corretta del nome professionale. Avvocato donna, avvocata o avvocatessa?
La formazione femminile dei nomi professionali ha da sempre creato dei problemi, vuoi perché si tratta di forme a cui non siamo abitati, vuoi perché non si conosce la regola grammaticale o, nella maggior parte dei casi, perché ci si ostina ad usare anche per le donne il sostantivo al maschile.
Avvocato donna, avvocatessa o avvocata: è una questione dove i principi grammaticali si intrecciano con ragioni extralinguistiche, soprattutto con il cambiamento culturale avvenuto negli ultimi anni, grazie al quale sempre più donne accedono a lavori che prima erano appannaggio dei soli uomini.
Tuttavia la grammatica italiana parla chiaro - almeno secondo il parere dell’enciclopedia Treccani- la forma femminile di avvocato esiste e come (anzi ne esistono due, come vedremo) e chi si rivolge ad una donna chiamandola “avvocato” commette un errore.
La risposta della Treccani
Per rispondere alla domanda iniziale, ci affidiamo al parere dell’autore enciclopedia Treccani.
E dunque, per la Treccani non solo la forma femminile di “avvocato” esiste, ma ve ne sono addirittura due: avvocata e avvocatessa.
La prima è sia un attributo riferibile alla Madonna e tutte le altre sante della religione cattolica - in quanto “protettrici”- sia una maniera scherzosa e colloquiale, ma poco usata, di indicare le donne che svolgono la professione forense.
Invece la seconda forma è quella che viene utilizzata più comunemente ed ha un doppio significato: con il termine “avvocatessa” ci si può riferire sia alla donna che pratica l’avvocatura che alla moglie di un avvocato (senza titolo).
Nonostante i due modi di dire, la stessa Treccani ribadisce che è ancora molto usata la forma al maschile, soprattutto nelle locuzioni composte, come ad esempio “avvocato tributario”, “avvocato fiscale”, ”avvocato d’ufficio”, ecc.
Sull’argomento si è espressa anche l’Accademia della crusca la quale prevede le due forme come alternative tra loro, senza indicarne una prevalente o preferibile.
La forma al maschile
Quanto cassato dall’enciclopedia Treccani e dall’Accademia della crusca molto spesso non trova attuazione poiché in tanti, anzi troppi, continuano a preferire il sostantivo maschile.
Ciò è dovuto al fatto che, conclusioni grammaticali a parte, c’è ancora chi sostiene che dietro la rivendicazione del sostantivo femminile ci sia una mera presa di posizione femminista che lascia il tempo che trova. Insomma, per molti si tratterebbe di un capriccio in quanto non è necessario dover declinare i sostantivi dei nomi professionali.
Eppure, cari avvocati, le cose non stanno così: la grammatica italiana parla chiaro, le donne abilitate hanno la possibilità di scegliere tra due forme, una più ironica - avvocata - ed una più professionale - avvocatessa- .
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