Dopo la dichiarazione di Christine Lagarde, presidente della BCE, sulla nuova strategia sull’inflazione, i mercati reagiscono. Il ritorno alla realtà è qui.
La realtà torna prepotentemente alla ribalta. Inaspettata, sorprende (in parte) i mercati, ma si manifesta.
Christine Lagarde, presidente della BCE, ha chiarito in modo diretto e inequivocabile quale sia l’obiettivo dell’istituto, senza lasciare spazio a interpretazioni: l’inflazione deve essere del 2%. Esattamente il 2%. Né più né meno del 2%.
Questa semplice e, apparentemente, banale affermazione ha immediatamente provocato reazioni a catena sul mercato: borse in caduta, spread in aumento, euro in crescita e rendimento sui Treasury in calo.
Tutto questo perché tale forte presa di posizione da parte della BCE porta con sé tante implicazioni e impone di riconsiderare elementi economici e finanziari che erano stati messi ai margini dagli analisti, che preferivano seguire l’onda dell’andrà tutto bene.
In USA l’inflazione è al 5%, in Europa intorno al 2% (con forti differenze tra nord e sud). E nelle previsioni ottimistiche della Fed nei prossimi due anni dovrebbe ridursi, ma rimanere al di sopra del 2%.
È chiaro che con tali prospettive la presa di posizione della BCE significa aspettative di inflazione oltre il 2%, che la banca centrale conterrà al 2% utilizzando gli strumenti a disposizione. Intervenire comprende solo due possibilità: alzare i tassi o ridurre il QE. Ed ecco spiegata, quindi, l’immediata reazione del mercato.
Le pressioni maggiori sono per una riduzione del PEPP. La possibilità di una riduzione dell’acquisto di titoli di Stato ha portato lo spread Btp-Bund oltre il valore di 107. L’Italia, si sa, è la prima beneficiaria del programma.
Nella giornata precedente la Federal Reserve aveva fatto intuire che entro fine anno dovrebbe iniziare il tapering - la riduzione degli acquisti di titoli USA dovrebbe essere annunciata ufficialmente a fine luglio nella prossima riunione.
Probabile che poi la stessa BCE agisca in tal senso. Più complicato pensare, nel breve, a un aumento dei tassi che, pur essendo citato dalla presidente Lagarde tra le azioni a disposizione, non sembra essere l’opzione principale e di immediato utilizzo. Forse, sarà l’ultima spiaggia.
Con l’obiettivo del 2% di inflazione anche se simmetrico si vuole evitare l’effetto stagflazione stile anni ’70: inflazione in crescita ma economia stagnante senza quella spinta propulsiva tale da far dormire sonni tranquilli e da compensare prezzi in salita.
Per quanto le previsioni siano decisamente ottimistiche, i dati reali hanno registrato un calo del PIL europeo nel primo trimestre. E la Germania, senza la quale è difficile pensare a una ripresa sostenuta e continuativa dell’Europa, proprio nei giorni scorsi, ha comunicato un indice ZEW (indicatore che misura la fiducia delle imprese) al ribasso e ben inferiore rispetto alle aspettative del mercato. Più precisamente un valore di 63 contro previsioni di 75 e un precedente di 79.
Anche gli ordini industriali tedeschi sono stati decisamente negativi (-3,7% contro aspettative di +1%) e fortemente differenti dalle previsioni degli analisti. Nello stesso senso, la produzione industriale tedesca è stata inaspettatamente negativa con un dato ufficiale pari a -0,3% rispetto a un +0,5% previsto.
Difficile credere a un boom economico ricordando che l’aumento dei prezzi delle materie prime che provoca inflazione, normalmente, rappresenta l’ultima fase del ciclo economico.
Da ultimo, negli stessi Stati Uniti, ove la crescita sembrerebbe importante, il potere d’acquisto è in diminuzione confermando che i redditi non seguono l’inflazione. Un’altra conferma dello stato di salute statunitense arriva dall’aumento delle richieste di sussidi di disoccupazione che non lascia presagire nulla di buono. La ripresa è a macchia di leopardo e non è ancora per tutti. E gli ultimi dati sul manifatturiero Usa non sono certo esaltanti.
L’imbuto si stringe sempre più e le contraddizioni di un’economia edulcorata e di mercati drogati emergono e si fanno sempre più palesi. E quando questo avviene, tendenzialmente, si salva il salvabile, ma non si riesce a evitare che gli eventi prendano il sopravvento. Inflazione, debiti, stagnazione, nuovi lockdown; un riequilibrio è impossibile da evitare. Il quando è difficile da comprendere perché le autorità cercheranno l’inverosimile per evitarlo, ma il momento si avvicina inevitabilmente. Gli strumenti a disposizione esasperano gli squilibri, aumentano l’insostenibilità e perdono sempre più di efficacia. E quando arriverà sarà devastante.
Non a caso proprio in questo momento è tornato a farsi sentire anche l’economista Roubini, famoso per aver previsto la crisi del 2008, dichiarando che siamo vicini a uno shock finanziario.
In ultimo, non bisogna dimenticare che debito mondiale è intorno al 450% del PIL mondiale. In aumento. Argomento che senza dubbio richiede un articolo interamente dedicato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA