Per il dirigente del colosso chimico, lo stop ai flussi scatenerebbe la peggior crisi dal secondo Dopoguerra. E bacchetta i connazionali: sottostimano il legame fra sanzioni e il loro posto di lavoro
Cominciamo dalle buone notizie, tanto per affrontare con animo più leggero questo 1 aprile che sconta una terza scadenza spartiacque terminata pericolosamente nel dimenticatoio. Quantomeno in Italia, l’ultimo dei paesi Ue che può permettersi infatti di sottovalutare - nel giorno dello stop allo stato di emergenza e del formale inizio di rischio blackout legato ai pagamenti del gas russo - il termine del Pepp della Bce.
Ed eccola la certezza del mattino, come mostra questo grafico:
la stagflazione mondiale è assicurata. I proxies di Pil e inflazione a livello globale parlano chiaro, stante l’impossibilità all’orizzonte di un drastico cambio di marcia. E i dati provenienti dall’eurozona - in primis il +7,3% della Germania ma anche il 5% della Francia finora ai margini dei picchi e soprattutto il +9,8% della Spagna - ci dicono chiaramente che ora la Bce dovrà fare qualcosa di più serio che inventarsi il 2% simmetrico di target per evitare una deriva da lost decade giapponese. Idem per la Fed, la quale deve fare i conti con un’inversione sulla curva dei rendimenti che ora ha toccato anche la forchetta 5-30 anni, di fatto spalancando la strada a una prezzatura di mercato di 9 aumenti dei tassi per l’anno in corso ma già tre tagli nel biennio 2023-2024. Il caos, insomma. Forse le Banche centrali hanno bisogno di una recessione da record per spegnere i fuochi di un’inflazione fuori controllo e tutt’altro che transitoria?
Il dubbio sorge. Soprattutto alla luce dei continui sforzi statunitensi di stroncare sul nascere ogni prodromo di dialogo o progresso che arrivi dai negoziati, oltretutto gettando benzina sul fuoco con le uscite tutt’altro che diplomatiche del presidente Biden. Ma a fronte di prospettive e ipotesi, abbiamo un’altra certezza. In questo caso, la bad news. Quella vera. In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il CeO del colosso chimico tedesco Basf, Martin Brudermuller, ha cestinato ogni residuo di orgogliosa opposizione politica ai diktat del Cremlino in campo energetico, lanciando altresì un avvertimento molto serio. Dopo aver detto chiaramente che l’indipendenza dal gas russo richiederà realisticamente 4-5 anni e che nel frattempo LNG statunitense non sarà temporalmente in grado di tamponare la perdita a livello di controvalori nel breve termine, il dirigente spazza via ogni residuo di retorica bellicista: Mettendo la questione in termini brutali, un eventuale stop alle forniture di Mosca trascinerebbe l’economia tedesca nella peggior crisi dal secondo Dopoguerra e distruggerebbe la nostra prosperità. Soprattutto per molte piccole e medie aziende, questo potrebbe rappresentare la fine, Non possiamo prendere un rischio simile!
Un bagno di realismo tanto crudo quanto necessario, prima che sia troppo tardi. Ma non basta. Dopo aver sottolineato come un quadro come quello attuale non può essere semplicisticamente dipinto in toni di bianco o nero, Brudermuller scende nei particolari, rispondendo a una domanda diretta rispetto alle conseguenze immediate di un stop ai flussi legato alla questione dei pagamenti in rubli: Un blocco delle forniture anche per un periodo limitato forse potrebbe paradossalmente portare a una forzata presa di coscienza da entrambe i lati, obbligherebbe tutte le parti in causa ad aprire gli occhi. Perché un simile scenario chiarirebbe da subito la magnitudo di conseguenze. Noi non possiamo restare senza gas russo per troppo tempo, perché questo comporterebbe enormi problemi qui in Germania. Come Basf, dovremmo ridurre drasticamente o forse bloccare del tutto la produzione nel nostro impianto principale a Ludwigshafen, se per caso la fornitura scendesse significativamente e permanentemente sotto il 50% delle nostre necessità massime. Non a caso, il ministro Habeck ha già attivato il piano di emergenza.
E se fonti indipendenti ed esterne a Basf hanno calcolato come un primo stop all’impianto di Ludwigshafen potrebbe comportare immediatamente 40.000 esuberi, il CeO del colosso chimico richiama al pragmatismo anche i propri connazionali, i quali - a suo dire - stanno sottostimando pericolosamente le conseguenze di cosa comporterebbe uno stop al gas russo. Per l’esattezza, molti cittadini tedeschi con cui sto parlando hanno una concezione distorta o completamente falsa dello scenario che verrebbe a crearsi. Questo perché la gente è all’oscuro della connessione diretta fra boicottaggio attraverso le sanzioni e l’esistenza stessa del loro posto di lavoro. Questo situazione mette la nostra economia e la nostra prosperità a rischio.
Infine, la profezia: Quanto sta creandosi sul mercato potrebbe portare a una crisi drammatica, le cui conseguenze si sentiranno maggiormente l’anno prossimo e non in quello in corso. Per il 2022, infatti, i nostri acquisti di fertilizzanti sono già stati fatti ma nel 2023 andremo incontro a una mancanza di offerta e i Paesi più poveri e fragili, soprattutto in Africa, non saranno in grado di garantire i prodotti base. Il rischio reale è quello di carestia. Insomma, occorre calare di braghe di fronte al ricatto russo? No. Ma smetterla con sanzioni inutili e sedersi a un tavolo, questo sì. E senza voler imporre condizioni capestro, poiché le spalle già pericolosamente adiacenti al muro sono le nostre.
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