Book Calling #6: “Anno zero d.C.” riflessioni sull’economia dopo il coronavirus con Mariangela Pira

Antonella Coppotelli

24/11/2020

“Dubito ergo sum” scriveva nel IV secolo dopo Cristo Sant’Agostino d’Ippona con l’intento di dimostrare e ammettere che attraverso il dubbio si compie un atto dell’intelletto. E mettere in dubbio se stessi e le proprie idee ci aiuta a mantenere sempre una grande apertura mentale.

Viviamo in un’epoca mediatica che ha sdoganato in toto l’accessibilità alle informazioni: Tv, internet, applicazioni, social, carta stampata sebbene si tocchi sempre meno con mano la carta. Le possibilità di scelta sono diventate infinite a cui fa eco la capacità di interazione e di dire la propria anche ben oltre le proprie competenze. Un flusso continuo di notizie che, specie in un momento così critico come quello che stiamo vivendo, ci ha portato a una vera e propria iperfagia verso le news con la conseguenza che spesso e volentieri ce ne nutriamo in maniera bulimica più per soddisfare l’aspetto morboso che quello critico. Eppure a pensarci bene e a guardare numeri e statistiche vi sono ancora grandissime lacune da parte dei più in merito ad argomenti quali la finanza, il lavoro, la politica nazionale o internazionale. temi non così lontani e che riguardano la nostra vita sociale e quotidiana.

Il primo e più grande regalo di cui Mariangela Pira ci fa dono in “Anno Zero, d.C.” (dopo Covid) edito da Chiare Lettere è proprio la metodologia da adottare quando si parla di argomenti importanti quali l’economia, gli equilibri politici che cambiano a livello planetario o la gestione di una pandemia. Per esercitare la tanto auspicata apertura mentale e il conseguente arricchimento culturale e personale bisognerebbe partire sempre da numeri e dati verificati per avere un approccio obiettivo e restituire considerazioni con cognizione di causa che sono il sostegno a qualsiasi contraddittorio, confronto o dibattito. Il secondo immenso regalo è l’innumerevole quantità di spunti e stimoli di riflessione che ci mette sotto il naso creando non pochi dubbi, specie se la seguiamo nel suo viaggio che nelle pagine del libro parte dall’Italia per arrivare in Europa, negli Stati Uniti e Cina e tornare nella terra natia. Il terzo e ultimo, ma non per importanza, è il suo stile di narrazione: fluido, semplice ma mai banale e condito dalla storicità e il riferimento ai classici da cui culturalmente proveniamo tutti noi.

L’economia fa parte di noi

Da sempre in Italia l’economia è una materia sottovalutata, ma se guardiamo all’origine della parola “oikonomia” (dal greco οἶκος che significa casa e νόμος che indica legge), come ci invita a fare la Pira nel suo libro, tutto assume un significato più piano e vicino a noi: altri non è che la gestione e l’amministrazione della casa e delle nostre sostanze. Cosa c’è di più intimo e naturale di questo? Perché, quindi, temerla così tanto da trattarla come un feticcio mostruoso invece di inserirla come materia di studio fin dalle scuole dell’infanzia? Purtroppo questo è un limite dei nostri programmi didattici che “aborrono” l’economia, la modernità e la storia contemporanea. Sarà perché siamo eterni nostalgici di un passato glorioso che ci impedisce, però, di guardare al futuro?

Il tema della scolarità torna spesso nelle riflessioni dell’autrice e nelle nostre ed è un punto cardine su cui dobbiamo continuare a insistere se vogliamo vedere un miglioramento; tradotto significa avere persone più consapevoli ma soprattutto manager più organizzati e capaci domani, in grado di contrastare con un piglio differente la crisi di portata colossale che stiamo vivendo. Anche perché il Covid-19 e i conseguenti e vari lockdown hanno portato con fare prepotente e senza chiedere permesso nelle nostre case “l’economia dell’intangibile”, fatta di tecnologia e un pizzico di innovazione. Mai come in questo annus horribilis economia, finanza e digitale “sono andati così a braccetto” e sono stati l’espressione e il grimaldello di una crisi che deve portarci lo stimolo giusto per reagire. Cosa aspettiamo a farlo?

Capitalizziamo la crisi

Nella lingua cinese il termine crisi ha anche il significato di “opportunità”. Non scrivo nulla di nuovo, tale semantica è presente in parecchie frasi motivazionali che oggi come oggi affastellano le bacheche social. Eppure quando c’è da passare dalle parole ai fatti ci si perde. Come ci insegna la lectio magistralis di Mariangela Pira, partiamo da qualche dato significativo preso dal libro:

  • a oggi il reddito pro capite degli italiani non ha raggiunto ancora i livelli minimi prima della grande crisi economica del 2008;
  • si stima che il PIL nostrano nel 2020 decrementerà del 10,1% e tornerà ai livelli pre-COVID solo nel 2025;
  • secondo la CGIL a causa della pandemia ci sono 8 milioni di lavoratori in smart working per non parlare degli studenti che fruiscono della DAD ma ancora è persistente il digital divide nel nostro Paese: solo il 22% delle famiglie dispone di un device quali pc o tablet per singolo componente mentre nel Mezzogiorno il 41,6% è senza computer;
  • le infrastrutture non tengono e men che mai le connessioni sicure verso i server aziendali, prestando il fianco a numerosi crimini informatici che tenderanno ad aumentare e ci vedranno a breve a pari merito con il Nord Europa.

Bastano solo questi pochi e suggestivi elementi per far sì che ci si debba attivare con delle soluzioni a medio e lungo termine attraverso piani seri di rilancio che abbiano una visione concreta, in grado di sfruttare tutto il potenziale e il patrimonio italico. Basterebbe iniziare a concentrarsi seriamente sulla pretesa di uno strutturato diritto all’istruzione che restituisca competenze finanziarie e digitali per lasciare ai nostri giovani, ma anche a noi, un patrimonio su cui crescere. Dove non vi è studio, insiste Mariangela Pira, non si è crescita, eppure la scuola è stata una delle istituzioni più massacrata di questo periodo.

Abbiamo l’opportunità di snellire la burocrazia, la possibilità di pensare a un marketing territoriale che aiuti a rilanciare il turismo, possiamo fare della cultura la nostra reale fonte di reddito, chi più di noi italiani può vantare delle vere e proprie opere d’arte a cielo aperto? Pensiamo a Roma, a Matera, a Venezia tanto per citare alcune città: ci nutriamo della loro bellezza fin dalla nascita, noi italiani abbiamo un gusto innato perché i nostri occhi fin da bambini sono abituati all’arte, alla armoniosità eppure lasciamo tutto all’incuria del tempo e di miopi gestioni. E non potrebbe essere diversamente visto che l’unica cultura che ci manca è quella di fare sistema e della visione di insieme! Se si innescasse un circolo virtuoso tra itinerari, beni culturali e trasporti correremmo il felice rischio di veder aumentare l’indotto. Iniziamo con il riconoscere che la cultura sia un lavoro a tutti gli effetti.

Gli elementi per fare bene e attivare stimoli da concretizzare ci sono tutti ma intanto dobbiamo iniziare a fare,altrimenti non potremo mai trasformarci “da potenza in atto” come postulava Aristotele.

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