Le origini del parallelismo tra le stragi della città ucraina e uno dei massacri più brutali della guerra in Bosnia ed Erzegovina.
Le guerra mossa da Putin all’Ucraina, lo diciamo sin dai primi giorni del conflitto, è una guerra novecentesca. Ha il volto di un’invasione di un territorio sovrano così come, nel cuore dell’Europa, non si vedeva da decenni e ha il volto della violenza sommaria che solo le guerre della fine degli anni ’90 erano state in grado di ridisegnare.
Proprio questi rimandi alle più atroci pagine della storia contemporanea sono il perno attorno al quale sta ruotando la narrazione dei media occidentali e del governo ucraino dopo il massacro di Bucha, una cittadina a 30 km da Kiev in cui non solo è stata rinvenuta una fossa comune che nascondeva alla vista ben 57 corpi, ma è anche una città dove è stata documentata anche una delle più dure esecuzioni sommarie inferte ai civili ucraini dal 24 febbraio ad oggi.
Questi episodi, forse punti di svolta, forse solo ulteriori crimini di guerra nella scia dei carri armati russi, rievocano però eventi storici che mai come ora devono insegnarci qualcosa e servirci da monito.
A partire dalla circolazione dei reportage di domenica 3 aprile, «Bucha nuova Srebrenica» è l’espressione più diffusa tra gli osservatori e non è una frase di circostanza, conoscendo il significato storico. Quello tra le due città nominate è un filo sottile intriso di sangue che unisce presente e passato, popoli diversi e storie diverse di eguale brutale intensità. Capiamone il perché.
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Cosa è successo a Bucha e possibili conseguenze
Da dove nasce questo parallelismo
Riesumare gli eventi di Srebrenica è una pratica già in atto da qualche settimana, dalle bombe che seppelliscono Mariupol’ in poi possiamo dire. Il massacro della città di Irpin aveva già sollecitato la memoria storica di alcuni ma, solo ora che è proprio il governo ucraino a parlarne, si diffonde questo tipo di narrazione per parallelismo.
A twittare per primo è stato infatti il ministero della difesa di Kiev che ha pubblicato uno straziante video su Twitter e accusato Mosca di atrocità e crimini di guerra.
New Srebrenica. The Ukrainian city of Bucha was in the hands of 🇷🇺 animals for several weeks. *Local civillians were being executed arbitrarily*, some with hands tied behind their backs, their bodies scattered in the streets of the city.#RussianWarCrimes pic.twitter.com/outzejdidO
— Defence of Ukraine (@DefenceU) April 2, 2022
Dopo questo monito è stato sferrato però «l’attacco» più duro, quello del capo negoziatore ucraino Mikhailo Podolyak che ha scritto un post su Telegram pubblicando foto di civili uccisi a Bucha:
«Ora il mondo ha ricevuto una paura totale e indicibile dell’anti-umanità a Bucha, Irpen, Gostomel. Centinaia, migliaia di persone uccise, dilaniate, violentate, legate, violentate e uccise di nuovo. Centinaia, migliaia di civili ucraini. Vuoi Srebrenica del 21° secolo? Fatto? Sei soddisfatto? Volevi ricordare qual è l’orrore infernale di lavorare nei forni crematori, che le persone vengono bruciate vive perché ucraine? Proverai a voltarti di nuovo? Organizzare un altro vertice per esprimere preoccupazione e scuotere la testa? Dai un’altra occhiata da vicino alle migliaia di ucraini dilaniati, violentati e bruciati. Nel XXI secolo. Nell’ambito dell’«operazione speciale». Dilaniato dai russi. E ora dì ancora una volta al mondo intero che la Russia è normale. Voltare le spalle. Dopotutto, l’importante è non provocare. E lasciamo massacrare gli ucraini…».
La storia di Srebrenica: l’orrore delle fosse comuni
Capiamo però cosa lega Bucha a Srebrenica. Le risposta è tanto semplice quanto dolorosa: le fosse comuni.
Durante la guerra in Bosnia serbi, croati e musulmani bosniaci si sono fronteggiati aspramente dopo lo scioglimento della federazione Jugoslava. La violenta reazione del governo serbo guidato da Milosevic sfociò in una guerra si concluse con più di 100 mila persone uccise e un vero e proprio genocidio; tra l’11 e il 12 luglio 1995, la città Srebenica, situata in Bosnia fu il teatro dell’efferato omicidio di circa ottomila tra uomini e ragazzi musulmani. I loro corpi, gettati nelle fosse comuni, non sono solo una testimonianza della spietatezza dei confronti fratricidi come quelli a cui assistiamo anche oggi, raccontano una storia di immobilismo che non deve ripetersi.
Il dettaglio più raggelante della vicenda è infatti che questo evento fu una vergogna per la comunità internazionale in quanto la città era stata dichiarata dal 1993 «zona protetta» per i civili delle Nazioni Unite. I Caschi Blu infatti non intervennero poiché, come riportato anche Rai News, le risoluzioni Onu votate fino a quel momento non davano alla Forza di protezione i mezzi per agire.
Ciò non deve certo far pensare che l’Europa stia chiudendo gli occhi, la mobilitazione c’è stata, ma a detta degli ucraini, e non solo, davanti a qualsiasi crimine di questo genere occorre fare di più.
L’ultima parola spetterà ai tribunali internazionali, ma queste immagini e queste storie sono l’ennesimo tentativo di risvegliare la coscienza di chi, nato e vissuto in tempi di pace europea, non riesce forse a comprendere la vera tragedia che si sta consumando sul campo di battaglia, a pochi passi da casa propria.
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