Che fine ha fatto Conte leader del M5s (e che fine farà)

Alessandro Gregori

10/05/2021

L’ex Avvocato del Popolo parla da leader, candida Raggi a Roma e lavora alla linea politica del MoVimento 5 Stelle. Ma in questo momento non solo non è stato eletto né nominato ad alcuna carica nel partito, ma rischia di non poter essere legittimato per lungo tempo. Ecco perché prima o poi potrebbe mollare tutto e farsi il suo Movimento (con o senza Stelle).

Che fine ha fatto Conte leader del M5s (e che fine farà)

Ieri Giuseppe Conte ha inviato al Corriere della Sera il suo Manifesto per una riforma dell’Unione Europea. Poi ha chiuso a ogni ipotesi di alleanza con il Partito Democratico a Roma e nel Lazio confermando la candidatura di Virginia Raggi a sindaca. Muovendosi da leader del MoVimento 5 Stelle già incoronato e pronto a guidare il partito verso il prossimo scoglio: le elezioni comunali e regionali.

Con un dettaglio, però. In questo momento Conte non è il leader del M5s. E, tecnicamente, rischia di non poterlo essere per lungo tempo.

Che fine ha fatto Conte leader M5s (e che fine farà)

Questa storia somiglia molto al battito d’ali di una farfalla a Pechino che provoca un uragano a New York. Solo che stavolta tutto comincia a Cagliari e finisce, per ora, a Roma. Lì, meno di una settimana fa, la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile il reclamo presentato da Vito Crimi contro la nomina di un curatore speciale per il M5S, nell’ambito della causa intentata dalla consigliera regionale (espulsa e poi reintegrata) Carla Cuccu.

A prima vista sembrerebbe una delle tante, tantissime storie di liti interne al M5s che in questi anni hanno portato a riempire le pagine dei giornali ma senza tante conseguenze per i grillini. Ma questa volta la situazione ha creato un garbuglio talmente complicato che sarà difficile sbrogliarlo in tempi brevi. E senza una soluzione Conte non potrà mai essere leader del M5s.

Nel provvedimento di nove pagine firmato dalla presidente Maria Mura la Corte, nel respingere il reclamo di Crimi, scrive infatti:
«Pur concordandosi con Vito Claudio Crimi e l’associazione MoVimento 5 Stelle che in astratto la reclamabilità in Corte d’Appello ex art. 739 c.p.c. non è preclusa dalla natura non decisoria e non definitiva del provvedimento, tuttavia ciò non conduce ad un risultato per essi favorevole, in quanto, ad avviso del Collegio, il reclamo non è consentito dalla disposizione codicistica invocata che prevede la reclamabilità soltanto dei decreti del giudice tutelare davanti al Tribunale e dei decreti del Tribunale in camera di consiglio in primo grado davanti alla Corte d’Appello».

Il groviglio per nulla virtuoso in cui è finito il M5s

Ma qui viene il bello. Perché Crimi non ha espulso soltanto Cuccu. Il reggente M5s ha infatti fatto calare la scure anche nei confronti di quei parlamentari che non hanno votato la fiducia al governo Draghi. I quali già da subito potrebbero far annullare quella sentenza emanata da un giudice che non era legittimato a farlo. E c’è di più: la situazione è andata a intersecarsi con la guerra scoppiata tra Davide Casaleggio, Rousseau e i grillini eletti.

L’associazione, che oggi possiede gli elenchi degli iscritti, ha rotto ufficialmente con il MoVimento per la questione delle quote non pagate, ma in realtà a causa di un’ampia diversità di vedute tra chi attualmente prende le decisioni nel M5s (Di Maio e gli altri) e lo stesso Casaleggio. Una diversità di vedute enorme perché i primi puntano su un MoVimento «di governo» mentre il figlio del fondatore ne vorrebbe uno «di lotta».

E il combinato disposto di questi due fronti aperti è che Conte, semplicemente, non può diventare leader del M5s. In primo luogo per un motivo molto semplice, quasi elementare: non è iscritto al MoVimento. Avrebbe potuto farlo mentre era a Palazzo Chigi, ma ha deciso di no per mantenere una parvenza di equidistanza nel suo ruolo di presidente del Consiglio. Avrebbe potuto decidere di farlo subito dopo l’addio alla carica, ma all’epoca era ancora indeciso visto che il Partito Democratico gli offriva il ruolo di leader della coalizione, incompatibile con quello di capo politico grillino.

L’errore di Conte e le possibili soluzioni

Quando ha deciso di farlo però il bubbone era già scoppiato. Ora Conte non può iscriversi. Di più: in teoria l’ex premier non potrebbe neanche partecipare alle assemblee e alle consultazioni né tantomeno candidarsi a componente del Comitato Direttivo. Già, proprio quel comitato che era stato scelto dalla base per guidare il partito ma poi è stato accantonato in attesa delle decisioni di Conte. Una votazione a febbraio aveva infatti cambiato lo statuto, decidendo di assegnare la guida del partito a un organo collegiale di cinque persone.

L’elezione dei membri di questo direttivo sarebbe dovuta avvenire su Rousseau, come dice lo Statuto, Ma nel frattempo Rousseau e il M5s hanno rotto. E Casaleggio ha detto che non si voterà su Rousseau finché non verranno saldate le pendenze dei parlamentari (i famosi 450mila euro). Oltre ad aver negato i nomi degli iscritti al MoVimento proprio a Crimi e Conte, che adesso dovranno andare davanti al Garante della Privacy per chiedere un provvedimento ad hoc.

Casaleggio userà lo stesso argomento di Cagliari per opporsi: né l’uno né l’altro hanno il diritto di chiedere elenchi perché non rappresentano alcunché all’interno dell’associazione grillina. E se per caso il Garante gli desse torto ricorrerà al tribunale. Già da qui si capisce che la questione potrebbe andare di pari passo con i tempi (lunghi) della giustizia italiana. Incompatibili con quelli della politica e delle sue scadenze.

Un nuovo partito per Conte?

Ad oggi quindi la situazione è piuttosto complicata. Molto di più di quello che ha dichiarato lo stesso Conte a Repubblica la scorsa settimana: «Casaleggio per legge è obbligato a consegnare i dati al MoVimento, che ne è l’unico legittimo titolare. Su questo c’è poco da scherzare perché questi vincoli di legge sono assistiti da solide tutele, civili e penali». Secondo Conte, sarebbe tutto pronto per far partire il nuovo Movimento 5 stelle, il nuovo Statuto e la nuova Carta dei valori. «Questa impasse ha solo rallentato il processo costituente ma di certo non lo bloccherà. Verrà presto superata, con o senza il consenso di Casaleggio».

Dietro l’uscita di Conte infatti c’è la consapevolezza che la strada dei tribunali è incompatibile con quella della politica. Ma l’alternativa è soltanto una: scendere a patti con Casaleggio. Cosa che invece la maggior parte degli attuali maggiorenti M5s non vuole assolutamente. Ecco quindi che lo stallo messicano è perfetto: da una parte Casaleggio non fornirà le chiavi di Rousseau né l’elenco degli iscritti finché non arriveranno i famosi 450mila euro. Dall’altra Crimi, Grillo e Di Maio che hanno deciso di chiudere con il figlio del fondatore M5s e quindi non hanno intenzione di dargli nulla né di re-legittimarlo come influencer delle regole del M5s.

In mezzo c’è l’ormai ex Avvocato del Popolo, che rischia di finire a litigare in tribunale con Casaleggio per anni invece di fare politica come dovrebbe un leader. E questo nonostante i sondaggi politici confermino che la sua popolarità è talmente alta da superare quella di Draghi. Senza un passo indietro di una delle parti - che per ora non hanno alcuna intenzione di compierlo - l’unico che può sbloccare la situazione è Conte.

Come? Mandando tutti al diavolo e facendosi un suo partito. Alleato o magari in concorrenza con il M5s alle prossime elezioni. Sempre che di partiti espressione del popolo grillino alla fine ce ne sia soltanto uno. Perché il rischio, piuttosto concreto, è che si ritrovi a dover gareggiare con Alessandro Di Battista. Il quale a sua volta è tentato dalla discesa in campo in autonomia, sponsorizzata proprio da Casaleggio. E a quel punto, litigando in molti per lo stesso piatto sempre più magro di voti, Conte leader del M5s potrebbe fare davvero una brutta fine.

Iscriviti a Money.it