Pechino «invita» le aziende a controllo statale a comprare assets del gigante in crisi: la Lehman cinese si è tramutata in un’asta di Stato per palazzinari. Tutt’intorno, però, il caos regna sovrano
La notizia era nell’aria e a certificarlo era stato il +1,2% di chiusura a Hong Kong, formalmente giustificato unicamente dalla garanzia offerta dalla Pboc di protezione ai consumatori esposti al mercato immobiliare attraverso piani di investimento (circa il 60% dei cinesi). In realtà, la questione era un pochino più sistemica: Evergrande è di fatto in via di nazionalizzazione.
Reuters ha infatti rilanciato la notizia di una moral suasion - garbato eufemismo - del governo verso le aziende a controllo statale, immobiliari in testa, affinché acquistino gli assets del conglomerato caduto in disgrazia. Detto fatto, il Guangzhou City Construction Investment Group sta per comprare lo stadio della locale squadra di calcio e tutti i progetti residenziali nell’area circostante per 12 miliardi di yuan. E a conferma delle deliranti condizioni di onnipotenza in base alle quali Evergrande ha operato per anni, basti dire che il campo da gioco del Guangzhou FC Soccer può contenere più di 100.000 spettatori. Di fatto, il più grande al mondo per capienza. Fra le altre aziende in predicato di divenire protagoniste del bail-out mascherato figurano inoltre Vanke, China Jinmao Holdings e China Resources Land.
Attenzione, la Lehman Brothers cinese si è tramutata in un’asta per palazzinari di Stato. Oltretutto, fra gli applausi della Borsa e il sollievo del mondo intero. Anzi no. Quest’ultimo, infatti, oggi sembra aver cominciato il suo taper reale. Quello che pone fine all’impero degli unicorni e gradatamente scala verso un ritorno alla realtà, quella brutta e sgradevole da dover affrontare. Quella rappresentata da questo grafico, per intenderci:
non esattamente il tipo di inflazione demand-led che le Banche centrali intendono stimolare con manovre espansive. E con cui sono felici di dover fare i conti. Non a caso, la stessa Christine Lagarde ha dovuto ammettere che l’inflazione energetica sarà quella meno transitoria. Auguri a cittadini e imprese.
Perché la realtà è quella di rallentamento economico globale, in primis proprio di quella Cina di cui oggi Nomura e Goldman Sachs hanno tagliato l’outlook 2021, che vada a combinarsi con inflazione perdurante e in continua crescita. Tradotto, stagflazione. E questo grafico
mostra cosa sia appena accaduto all’indice dei prezzi alla produzione della Spagna: +18% su base annua, il massimo dal maggio del 1980. Le prime elezioni libere dopo 35 anni di regime franchista si erano tenute solo tre anni prima, così per mettere la questione in prospettiva.
Mentre questo altro grafico
mostra quale sia la situazione al porto di Ningbo, lo stesso il cui terminal era stato bloccato per due settimane da un focolaio di Covid e aveva fatto precipitare la situazione già critica sulla supply chain globale. Se l’hub statunitense di Los Angeles e Long Beach si dispera per i 60 container ancorati al largo in attesa vana di attracco, la situazione qui è ben peggiore: stando al dato di venerdì scorso, i vassels erano 154. Unendo a quel terminal quello di Shanghai, si arriva a 242.
Infine, questi due grafici
mettono plasticamente in prospettiva la crisi energetica attuale, legata soprattutto all’impennata del prezzo del gas: se Rabobank stima che la situazione odierna abbia già un impatto economico e macro più pesante della crisi petrolifera degli anni Settanta, ecco che le valutazioni del gas naturale di Gran Bretagna ed Europa l’altro giorno hanno segnato il record di un aumento intraday a doppia cifra: il massimo storico. Lo spauracchio di Evergrande ha fatto il suo lavoro, quantomeno fino a quando Pechino non capito che era ora di intervenire, perché rischiava di accelerare una crisi di sistema dell’economia che non può permettersi spill-overs creditizi sui risparmi dei cittadini.
Ora però tocca smetterla con le roboanti formule tipo Lehman cinese e guardare in faccia la realtà di un mondo che si sintetizza in questo grafico finale:
il mitologico taper dalla stamperia globale non è possibile, se non per un periodo limitato di tempo che serva solo a creare le condizioni per nuovi stimoli emergenziali. Il taper con la realtà, invece, ormai appare non più rinviabile. Pena il rischio di un vero e proprio caos globale, capace di trasformare il ricordo del 2008 in una passeggiata nel parco a inizio primavera.
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