Come avvenuto nel 1923 con il Trattato di Losanna e, più di recente, nel 2019 a seguito dell’attacco della Turchia, i curdi anche nel via libera di Ankara all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato sono stati l’agnello sacrificale delle manovre geopolitiche occidentali.
Se come disse il forte attaccante inglese Gary Lineker “il calcio è un gioco semplice, 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e alla fine la Germania vince”, nella sfera geopolitica si potrebbe affermare che la diplomazia internazionale è una materia ugualmente poco complessa, con due o più Paesi che discutono e alla fine chi ci rimette è il popolo curdo.
Anche in occasione della fumata bianca per l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, una richiesta avanzata a seguito della guerra scoppiata in Ucraina, alla fine ancora una volta il boccone amaro da dover ingoiare è stato tutto per i curdi.
Per convincere Recep Tayyip Erdoğan a far cadere il proprio veto in merito all’ingresso dei due Paesi nella Nato, l’Alleanza atlantica è riuscita a far firmare ai ministri degli Esteri di Turchia, Svezia e Finlandia, un memorandum trilaterale che si snoda in dieci punti.
Più che un accordo il memorandum siglato è una sostanziale resa di fronte alle richieste di Erdogan: la Turchia adesso potrà avere ancora di più le mani libere nella sua guerra contro i curdi, ripresa di intensità ad aprile nel silenzio generale dei media tutti focalizzati sul conflitto in Ucraina.
Un tradimento da parte dell’Occidente che di certo non è il primo nella travagliata storia del popolo curdo.
I curdi e la beffa del Tratato di Losanna
Quando al termine della Prima Guerra Mondiale gli accordi sancirono la creazione di uno Stato dei curdi visto il disfacimento dell’Impero Ottomano, con il Trattato di Losanna siglato nel 1923 questa prerogativa venne semplicemente depennata.
Da allora il Kurdistan è diviso tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, ma dopo decenni di guerre civili e di persecuzioni finalmente per il popolo curdo sembrava che si potesse intravedere la classica luce in fondo al tunnel.
Quando l’Isis ha preso il controllo di buona parte del Nord della Siria e dell’Iraq, chi ha imbracciato le armi e combattuto città per città il Daesh sono state le milizie Ypg, che fiancheggiati dall’aviazione americana alla fine sono riuscite a sconfiggere il califfato lasciando sul terreno però circa 10.000 propri soldati.
Fino a inizio ottobre 2019 la situazione era di conseguenza questa: grazie anche alla presenza di truppe statunitensi nella zona, i curdi controllavano il territorio sottratto al califfato (dove è presente la quasi totalità del petrolio siriano) ed erano in trattativa con il governo di Damasco per avere una sostanziale autonomia per la regione sempre rimanendo all’interno della Siria.
Traditi dagli Usa
La decisione di Donald Trump di voltare le spalle ai curdi richiamando le proprie truppe di stanza nel Rojava, di fatto ha dato il disco verde a un’invasione da parte della Turchia visto che da tempo Ankara reclamava il diritto di realizzare una zona cuscinetto lungo il confine turco-siriano per motivi di lotta al terrorismo.
Nel corso della breve ma intensa guerra, sotto il peso delle bombe turche le milizie Ypg hanno chiesto aiuto all’esercito regolare siriano che, spalleggiato come sempre dalla Russia, è tornato a prendere possesso di alcune città da tempo fuori dal controllo di Damasco.
Dopo la tregua dell’ottobre 2019 siglata da Turchia e Russia, Erdogan ha ottenuto la sua zona cuscinetto mentre Assad è riuscito a far sventolare la bandiera siriana su città dove prima fa c’erano invece vessilli del Kurdistan. Zone queste strategiche sia dal punto di vista logistico sia economico.
I curdi hanno accettato le condizioni di questo cessate il fuoco, iniziando a ripiegare come stabilito, per evitare una carneficina al proprio popolo. Come è avvenuto in passato con il Trattato di Losanna, sono stati traditi dall’Occidente che prima ha usato le milizie Ypg per il lavoro sporco contro l’Isis e poi le ha lasciate al proprio destino.
Traditi dalla Nato
Mentre gli occhi del mondo erano tutti puntati sulla guerra in Ucraina, Recep Tayyip Erdoğan ha svestito i panni del mediatore e ha dato il via a una nuova offensiva nella regione federale nel Nord dell’Iraq che è controllata dai curdi.
Per la Turchia si tratta di una “operazione speciale contro il terrorismo” che va avanti ormai dai anni, con le motivazioni di Erdoğan che assomigliano molto a quelle di Putin quando ha giustificato l’invasione dell’Ucraina parlando della necessità di fermare il “genocidio in atto nel Donbass”.
In contemporanea la Svezia e la Finlandia, spaventate dall’invasione russa ai danni dell’Ucraina, hanno deciso di fare domanda di ingresso nella Nato. La Turchia subito si è messa di traverso a causa delle migliaia di curdi che da anni hanno trovato protezione e rifugio nei due Paesi scandinavi.
L’occasione per Erdogan così si è rivelata subito ghiotta: alla fine la Turchia ha fatto cadere il proprio veto che avrebbe bloccato il processo di adesione, ottenendo in cambio la firma di un memorandum trilaterale da molti definito “vergognoso”.
Svezia e Finlandia si sono impegnate a non fornire alcun sostegno al Pkk, alle milizie Ypg e al movimento islamico Feto, che per Erdogan sarebbe il responsabile del fallito golpe in Turchia del 2016. Verranno riesaminate poi le richieste di estradizione di 33 curdi accusati da Ankara di terrorismo.
“In quanto potenziali alleati della Nato, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno alla Turchia contro le minacce alla sua sicurezza nazionale - si legge nel memorandum - Condannano senza ambiguità tutte le organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro la Turchia”.
Colpo di spugna anche per le sanzioni nei confronti di Ankara emanate nel 2019 dopo la guerra con i curdi: “La Turchia, la Finlandia e la Svezia confermano che ora non esistono più embarghi nazionali sulle armi e, in futuro, le esportazioni di armi da Finlandia e Svezia saranno condotte in linea con la solidarietà dell’Alleanza”.
Una autentica vittoria per Erdogan, una tragedia per i curdi.
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