Guai dall’Oriente per Boris Johnson, padrone di casa del vertice in Cornovaglia. Se il premier giapponese ha per la prima volta aperto all’ipotesi di cancellazione delle Olimpiadi, Pechino sta lavorando a una nuova legislazione che garantisca tutela legale e garanzie statali senza precedenti a soggetti cinesi sanzionati da governi esteri. Ivi compresa, la rivalsa economica diretta per inadempienza. Escalation in vista?
Boris Johnson è preoccupato. Non tanto per la variante indiana che rischia sempre più di mettere seriamente a repentaglio il suo trionfalistico piano di riaperture, quanto per le notizie provenienti dalla Cina e dal Giappone. Insomma, il premier scapigliato teme una Oriental surprise destinata a turbare il G7 previsto in Cornovaglia dall’11 a 13 giugno prossimi, il primo in presenza da due anni a questa parte. E reso ancor più importante dall’arrivo di Joe Biden, intenzionato a collezionare un round di incontri bilaterali (fra cui uno con Mario Draghi, già in agenda) e incassare altrettanti assegni in bianco rispetto alle priorità geo-economiche Usa.
Da Tokyo, infatti, è arrivata l’indiscrezione che nessun capo di Stato voleva sentire: per la prima volta, nel corso di un incontro al comitato per le audizioni della House of Councillors, il premier nipponico Yoshihide Suga ha aperto all’ipotesi di cancellazione o ulteriore rinvio dei Giochi olimpici. E’ semplicemente naturale che Tokyo non possa ospitare le Olimpiadi, se non possiamo garantire la protezione della vita e della salute pubblica, ha dichiarato il numero uno del governo. Il vaso di Pandora era scoperchiato, l’ipotesi peggiore veniva in fine evocata e presa in considerazione. Oltretutto, in ambito parlamentare ufficiale. E dopo un attacco frontale del capo dell’opposizione (CDP), Tetsuro Fukuyama, a detta del quale è in gioco la sicurezza delle persone, il governo non può imporre con la forza che si disputino Olimpiadi e Para-Olimpiadi.
E il fatto che Suga abbia prima ricordato come il suo sforzo primario sia ora quello di riuscire ad ammorbidire lo stato di emergenza (prorogato fino al 20 giugno) e poi operato un poco nipponico scaricabarile rispetto ai criteri per stabilire se il grado di sicurezza sia più o meno compatibile con le attività agonistiche e di ospitalità del pubblico, tradiscono un timore reale. Tradotto, l’opposizione vuole che il governo dica chiaramente che le Olimpiadi potranno tenersi soltanto con l’indice di contagio a livello 1 o più basso (rischio sporadico o nullo), mentre Suga cerca di prendere tempo. Quantomeno, evitando una figuraccia globale al G7 che faccia nuovamente precipitare il mondo nell’incertezza da virus.
Ma è la Cina a spaventare Boris Johnson. Stando a quanto riportato da Global Times, infatti, in pressoché perfetta contemporanea con i lavori del vertice in Cornovaglia, il governo cinese potrebbe presentare il timing ufficiale di una nuova legge già ribattezza Anti-Foreign Sanctions Law che sancirebbe un principio chiaro e finora mai messo in campo da Pechino: o con noi o contro di noi. Presentata il 7 giugno allo Standing Committee del 13mo National Party Congress (NPC), la legislazione garantirebbe infatti supporto legale e garanzie statali senza precedenti per qualsiasi entità cinese divenisse bersaglio di misure unilaterali e discriminatorie da parte di governi esteri. E il fatto che l’assise del Politburo cinese termini domani, 10 giugno, apre la porta alla possibile comunicazione ufficiale dell’avvio dell’iter, proprio mentre i leader del G7 scendono dalle scalette dei loro aerei.
E si preparano alla pubblicazione del documento finale di netta condanna verso i soggetti globali che non rispettino a pieno i diritti umani. Di fatto, proprio una delle interferenze straniere che Pechino intende stroncare sul nascere con la nuova legge. Lo stesso Global Times, nel presentare l’articolo dedicato alla discussione sui suoi profili social, descrive così il contenuto della bozza: Se approvata, la nuova legislazione consentirebbe alla Cina di sanzionare chiunque operi in ossequio a misure unilaterali imposte da Usa e Ue. Aziende e singole entità dovranno quindi scegliere se seguire la legge occidentale o quella della Cina. Di fatto, quanto allo studio sarebbe un deterrente senza precedenti per evitare che i governi stranieri riesumino la cosiddetta long-arm jurisdiction
Ovvero, l’imposizione della propria giurisdizione legale de facto a livello globale, uno stop netto all’idea stessa di lex americana (o europea) che regoli il mondo, dal commercio al rispetto dei diritti umani. Inoltre, il nuovo impianto potrebbe imporre pesanti richieste di risarcimento per violazione degli interessi cinesi a quei Paesi che, come fatto nelle scorse settimane dall’Australia, si ritirassero unilateralmente da accordi precedentemente stipulati con Pechino, nel caso specifico l’accordo sulla Belt and Road Initiative siglato dallo Stato di Victoria. E se questo grafico
Fonte: Financial Times
mostra quale sia stato l’effetto immediato delle sanzioni informali poste da Pechino sulle importazioni di vino australiano nella China Mainland, l’ipotesi di una legge statale ad hoc - e riconosciuta da tutti quei Paesi dipendenti dalla partnership economico-militare con la Cina, da molti governi africani alla Russia, dall’Iran all’India - rischia di complicare non poco l’agenda nascosta di politica estera dell’amministrazione Biden.
Ovvero, isolare il più possibile Pechino dal resto del mondo, utilizzando il grimaldello dei diritti umani come cavallo di Troia per accordi in tal senso nei simposi internazionali e ricorrendo a bastone e carota verso proxies come Mosca o Teheran. Ecco come gli analisti di Rabobank, il top a livello mondiale per le analisi geopolitiche legate ai temi economici-finanziari, hanno definito quanto allo studio in queste ore: ...This potentially leaves Western firms damned-if-they-do and damned-if-they-don’t, which is a wake-up call for those who haven’t heard any of the alarm bells so far. E questo grafico
Fonte: Bloomberg
mostra come la Germania potrebbe essere uno dei soggetti più colpiti dal cambio di paradigma commerciale, visto che negli ultimi 12 mesi il controvalore di esportazioni tedesche verso Pechino ha superato i 100 miliardi di dollari per la prima volta in assoluto. Non a caso, Angela Merkel anticipò la firma del memorandum Ue-Cina allo scorso dicembre sullo scadere della sua presidenza di turno. E altrettanto non a caso, in ossequio alla moral suasion di Joe Biden, ora l’Europarlamento ha messo in stand-by proprio la ratifica di quell’accordo.
Insomma, chi vuole fare affari con Pechino, rischia di dover fare i conti con un nuovo approccio. Draconiano. E destinato a mettere pesantemente in discussione uno dei temi più caldi in assoluto del momento, quello della supply chain mondiale di materie prime e componentistica. Boris Johnson sta dormendo sonni agitati da lunedì notte. C’è da capirlo.
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