Cos’è la variante indiana del coronavirus e perché fa così paura

Alessandro Gregori

22/04/2021

Nel paese c’è un boom di contagi. B.1.617 potrebbe essere responsabile di un quinto dei casi. E intanto è già arrivata in Europa. Dove preoccupa la maggiore contagiosità e la possibilità di resistenza ai vaccini

Cos’è la variante indiana del coronavirus e perché fa così paura

Ieri in India i nuovi casi di contagio da coronavirus registrati in 24 ore hanno superato per la prima volta quota 300mila, con 314.835 infezioni. I decessi, secondo quanto riportato dal ministero della Salute, sono stati 2.104.

Si tratta della prima volta che un paese supera quota 300mila contagi in un giorno. E il numero fa ancora più impressione se si pensa che a febbraio i positivi al coronavirus in India raramente superavano i diecimila in un giorno.

Cos’è la variante indiana del coronavirus

La situazione di emergenza ha portato all’adozione di misure di confinamento a Nuova Delhi fino al 26 aprile e di restrizioni nello stato del Maharashtra, in vigore fino al primo maggio. Ma sotto la lente c’è l’azione della cosiddetta variante indiana del coronavirus. Che nel frattempo è già arrivata in Europa.

Identificata come B.1.617 e individuata per la prima volta proprio nel Maharashtra, la variante indiana è stata scoperta a ottobre. La sua caratteristica peculiare è che presenta due mutazioni (E484Q e L425R) e ora si trova nel 15-20% dei campioni sequenziati nel paese, anche se gli esperti dicono di non essere certi che sia responsabile della recrudescenza dei casi. I suoi effetti, ovvero se sia più pericolosa per contagiosità, letalità e resistenza ai vaccini, sono ancora in corso di valutazione. Ma nel frattempo in Europa è già allarme. Nei giorni scorsi è stata scoperta nel Regno Unito, ma è circoscritta a pochi casi. Così come è stata segnalata in Belgio, Germania e Svizzera. E in Italia, per la prima volta a Firenze il 10 marzo scorso.

Ma il pericolo variante indiana è ben presente soprattutto in Francia, dove ieri la virologa Karine Lacombe, responsabile del servizio malattie infettive all’ospedale Saint-Antoine di Parigi, ha detto che è probabilmente già arrivata nel paese. La mutazione è individuabile con i test molecolari: «In particolare questa nuova variante - ha detto la Lacombe - ha due mutazioni, apparse sulla proteina Spike. Può essere resistente ai vaccini o alle cure».

Le due mutazioni sulla proteina Spike le presunta resistenza ai vaccini e alle cure

Posto che la resistenza ai vaccini deve essere ancora dimostrata - e anzi, in Israele lo Pfizer-BioNTech sembra invece essersi dimostrato efficace contro di essa, seppure in misura limitata - la particolarità della variante indiana risiede proprio nella sua doppia mutazione. Che sembra colpire anche i giovani in modo grave e per questo si è guadagnata la fama di «doppia mutante». La prima mutazione è quella della posizione 484 della proteina S, e accomuna l’indiana alla brasiliana e alla sudamericana. Ma c’è un’importante differenze: nell’indiana è una glutammina (E484Q) che sostituisce un acido glutammico (E484K).

Proprio questa mutazione è stata associata nelle altre due varianti a una maggiore capacità di aggirare le risorse del sistema immunitario e quindi a una maggiore resistenza agli anticorpi neutralizzanti derivanti dalle infezioni naturali o dalle vaccinazioni. Per ora però questa caratteristica deve essere ancora accertata nell’indiana. L’altra mutazione della proteina Spike è L452R, individuabile anche nella variante californiana. E qui ci sono studi che assegnano un aumento della trasmissibilità del virus fino al 24% con significativo impatto sugli anticorpi.

L’epidemiologo Massimo Ciccozzi ha spiegato al Giornale che la doppia mutazione può aumentare la contagiosità e, poiché la mutazione in 484Q riguarda sempre l’evasione del sistema immunitario, «potrebbe dare fastidio ai vaccini. In ogni caso non ci sono ancora dati importanti che fanno pensare a questo, sono tutte supposizioni. Di sicuro c’è una maggiore trasmissibilità del virus in India, lì è rilevante dal punto di vista epidemiologico».

Anatomia di una variante

Attualmente la variante indiana è stata sequenziata in 22 paesi. E c’è anche una buona notizia, anche questa ancora da confermare: anche se la doppia mutazione della variante indiana può avere un impatto sugli anticorpi neutralizzanti, i linfociti T potrebbero riconoscere la proteina Spike del virus e combatterlo tranquillamente alla stessa maniera, sempre secondo Ciccozzi. Rimane però che a livello di sintomi la variante indiana pare essere più impattante sul corpo umano. Tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza, ovvero i primi segnali della presenza del coronavirus Sars-CoV-2 nelle persone, sono di solito più forti. E di conseguenza anche i tempi di guarigione ne risentono.

Inoltre le varianti in generale possono causare la reinfezione in chi è già stato malato. Anche se di solito la reinfezione avviene in forma più lieve, l’emergere di varianti resistenti ai vaccini può mettere in pericolo l’obiettivo dell’immunità di gregge da raggiungere. Per tutti questi motivi oggi la variante indiana rappresenta un pericolo. E le istruzioni per contenerla dovrebbero essere aggiunte nella «terza dose» del vaccino di Pfizer. Sperando di fare in tempo a fermarla.

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# India

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