In tempi di inflazione, quando è a rischio il costo della vita, è utile ricordare quali sono le cause del movimento dei prezzi. E in tutto questo processo, qual è il ruolo della moneta?
Il prezzo è un segnale: nel senso comune, come nel diritto, indica quanti soldi servono per poter godere di un determinato bene o servizio. Nel mondo del Trading emerge ancor di più il ruolo di “segnale” di un prezzo, se per esempio tocca un valore storico massimo o minimo.
Se il mondo degli investimenti può risultare astratto, non lo è un supermercato, o il distributore di benzina: l’insieme dei prezzi dei beni che influenzano particolarmente la vita delle persone comuni, detto indice dei prezzi al consumo, indica il cosiddetto costo della vita.
Per chiunque è dunque rilevante conoscere come e perché i prezzi si muovono.
La moneta influenza i prezzi?
Si tende a pensare che ci sia un rapporto diretto tra la quantità di moneta presente nel sistema economico e il livello dei prezzi. Nella storia del pensiero economico questa teoria prende il nome di teoria quantitativa della moneta.
Il ragionamento a primo impatto fila, in quanto è con la moneta che si effettuano gli acquisti. Ridotto all’osso, suona più o meno così: se ci sono 5 beni e 10 di moneta, pagherò 2 ogni bene; se la quantità di beni resta la stessa, mentre la quantità di moneta sale a 20, il prezzo salirà a 4.
In realtà, questo modo di pensare è fuorviante. Infatti, più che da quanta moneta esiste, il livello dei prezzi è influenzato da quanta moneta viene spesa. In altri termini, i prezzi si muovono secondo la legge della domanda e dell’offerta, che si manifesta nella sua forma più grezza nella trattativa che portiamo avanti al mercato o in spiaggia con i venditori ambulanti - tutto il resto fa contorno.
Se un prodotto non è domandato, il suo prezzo resta lì dov’è, tutt’al più scende, a prescindere dalla quantità di moneta in circolazione in quel dato momento. In breve: il prezzo sale se c’è un aumento di domanda o un restringimento dell’offerta. Se un bene è molto richiesto (alta domanda), il prezzo sale, così come sale se il bene è raro, scarso (carenza di offerta).
Il prezzo come risultato del calcolo di un imprenditore
Manca evidentemente un pezzo in questo ragionamento. Il prezzo è infatti anche il risultato di un calcolo, fatto da ogni imprenditore: recupero dei costi di produzione, maggiorato del profitto - al netto del tasso di interesse.
Evidentemente, se aumentano i costi e si vuole mantenere costante il profitto, dovrà aumentare il prezzo. Tra i costi più disparati che un’impresa deve sostenere, si possono individuare tre categorie generali:
- costo del lavoro (salari e stipendi): l’aumento eccessivo dei salari rispetto alla produttività, il volume e l’efficienza della produzione, può generare spinte inflative;
- costo del debito (interessi): se aumentano i tassi di interesse, l’aumento del costo dell’indebitamento potrebbe essere scaricato sui prezzi dagli imprenditori, generando una spinta inflativa;
- costi di fornitura (es. materie prime, energia): se aumentano i costi di tutto ciò che serve a produrre e non è lavoro - per semplicità, i mezzi di produzione -, come possono essere anche le utenze, possono generarsi spinte inflative.
In questo ragionamento rientra ovviamente anche il grado di concorrenza all’interno del mercato di riferimento: se si è dominanti all’interno del mercato in cui si opera si è nella condizione di decidere il prezzo (price making), mentre se si è dipendenti da qualcun altro si è costretti ad accettare il prezzo che viene stabilito (price taking).
L’alternativa a scaricare sui prezzi questi aumenti di costo è subire perdite, o contrarre il livello della produzione. Si intuisce, tuttavia, che resta fermo, al di sotto di tutti questi calcoli e movimenti di prezzi, il ruolo della legge della domanda e dell’offerta.
Un prezzo particolare: il tasso di cambio
Esiste poi un prezzo particolare, quello della moneta, detto tasso di cambio, che si calcola in rapporto a un’altra valuta (c’è il cambio euro-dollaro, euro-sterlina, sterlina-dollaro, etc.): anche in questo caso, il suo livello è determinato dalla legge della domanda e dell’offerta, nello specifico, da quanto interscambio c’è tra i due paesi presi in considerazione.
Quando qualcuno domanda un bene prodotto all’estero, denominato in un’altra valuta, deve domandare anche la valuta di quel paese: può farlo o direttamente, ossia procurandosela per effettuare il pagamento, o indirettamente, pagando nella sua valuta che verrà poi cambiata in quella estera dal venditore o da un intermediario. La somma di tutti gli scambi determina il prezzo della valuta, il suo tasso di cambio.
Va da sé che se un paese esporta molto vuol dire anche che la sua valuta è molto domandata; dunque, per la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo aumenterà, e viceversa se importa molto. Più il tasso di cambio cresce, più le esportazioni sono disincentivate (costano di più in termini relativi) e le importazioni incentivate (costano meno in termini relativi) - e viceversa.
Quando un cambio si svaluta e aumentano i costi delle importazioni, si possono generare spinte inflative, come già visto dalla prospettiva imprenditoriale.
L’incognita del livello della produzione
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, tra la quantità di moneta e il livello dei prezzi c’è di mezzo il livello della produzione e la velocità di circolazione della moneta (ossia quanto velocemente la moneta passa di mano, un particolare indice del grado di attività economica).
Il contributo delle due «grandezze intermediarie» non è costante, ma può variare a seconda del volume e della forza dell’intraprendenza individuale/privata e degli interventi pubblici di politica economica.
Detto in altre parole - e riassumendo tutto il discorso su moneta e prezzi -: se la quantità di moneta aumenta, anche di molto, ma non viene spesa, o è accompagnata da un aumento della produzione, il rischio di avere un vertiginoso aumento dei prezzi è basso.
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