Dopo la conquista della centrale di Zaporizhzhia da parte della Russia, ci si chiede cosa accadrebbe all’Italia se l’impianto dovesse esplodere.
Il primo giorno d’invasione in Ucraina, la Russia ha preso il controllo di Chernobyl e poche settimane dopo anche di un’altra centrale nucleare, la più grande d’Europa: quella di Zaporizhzhia.
La presa di quest’ultima è avvenuta attraverso un bombardamento che ne ha provocato l’incendio, ma Alessandro Dodaro, capo del Dipartimento di Fusione e Tecnologia per la Sicurezza Nucleare di Enea, assicura che non c’è da preoccuparsi e ammette:
«Si è trattato di un incendio in un edificio ausiliario, non nella parte nucleare della centrale, per cui non c’è stato un grande rischio, perché non sono strutture collegate.»
Tuttavia, memori di ciò che è avvenuto nel 1986 e con le minacce di Putin riguardo a una guerra nucleare, le persone di tutto il mondo sono in preda al terrore. Per rassicurare ulteriormente, Alessandro Dodaro ha spiegato al Messaggero che la situazione è molto “diversa rispetto a quella di Chernobyl di quasi quarant’anni fa”, in quanto i sistemi di sicurezza dei Paesi che ospitano centrali nucleari si sono molto sviluppati.
Centrali nucleari: il vero problema arriva dall’interno
È chiaro che se un missile colpisse il nocciolo di un reattore nucleare, ci sarebbe una fuga di materiale radioattivo verso l’esterno. Però, dice Alessandro Dodaro, il vero problema di una centrale nucleare è quello che accade al suo interno: il rischio più alto sarebbe perdere il controllo del reattore stesso e fargli raggiungere uno stato ipercritico.
Prendiamo il caso di Chernobyl e analizziamolo.
Nella centrale nucleare di Chernobyl, non solo il nocciolo è andato fuori controllo a causa di un problema tecnico, ma le conseguenze dell’esplosione che è avvenuta – quindi - dall’interno sono state disastrose perché il nucleo era sprovvisto di una barriera adatta a reggere lo scoppio.
Questa volta, le centrali nucleari sono controllate da un sistema di sicurezza automatico chiamato Scram, attraverso cui, in caso di emergenza, si attivano una serie di barre di controllo che si inseriscono all’interno del reattore e lo spengono.
In caso di bombardamento, le strutture verrebbero distrutte e si potrebbero verificare delle spaccature: non sono quindi escluse fughe di agenti radioattivi. Tuttavia, il nocciolo del reattore dovrebbe reggere l’urto o spegnersi grazie alle barre di controllo appena spiegate.
C’è anche da sottolineare che un deliberato e folle attacco finalizzato allo scoppio della centrale è da escludere: le conseguenze sarebbero devastanti per tutti, e a rimetterci sarebbe l’economia di tutti i Paesi coinvolti. Né Russia, né Ucraina e nemmeno l’Europa sottovaluterebbero una perdita finanziaria di tale importanza.
Cosa accadrebbe all’Italia se esplodesse la centrale nucleare di Zaporizhzhia?
È difficile circoscrivere le conseguenze di una simile esplosione sia nel tempo che nello spazio. Possiamo ipotizzare uno o più scenari andando ad analizzare, di nuovo, il caso di Chernobyl.
Dopo quel disastro, sull’Italia si è posata una nube di prodotti di fissione che si erano dispersi nell’aria e, nei giorni a seguire, gli italiani hanno respirato isotopi radioattivi. Ognuno di questi isotopi non rappresentavano un pericolo per l’uomo, eccetto uno. Lo iodio-131 aveva una concentrazione 50 volte superiore a quella consentita nell’aria respirata da lavoratori delle centrali nucleari.
Secondo gli studi, la dose di iodio radioattivo 131 assorbita in quei giorni era pari alla quantità di radioattività che di solito assorbiamo quando facciamo una radiografia. Sembrerebbe non esserci alcun pericolo, quindi, ma i ricercatori hanno poi diffuso dati preoccupanti sui rischi e i danni a lungo termine, tra cui leucemie e danni alla tiroide. Nei primi anni del 2000 è stato registrato un aumento di tumori alla tiroide nei giovani di 14 anni, quindi nelle persone nate nell’anno 1986.
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