Secondo uno studio di Amundi Asset Management, nonostante si ritenga di solito che il settore europeo delle automobili e della componentistica possa essere quello più bersagliato, in realtà ci sono altri settori ancora più esposti agli Usa
Viste le tentazioni protezionistiche degli USA e le incertezze sulla Brexit, chi investe nelle azioni europee non dovrebbe giungere alla conclusione affrettata che gran parte dei rischi legati al commercio si siano ormai dissipati.
Ecco cosa emerge da un estratto del Cross Asset Investment Strategy di Amundi Asset Management.
Negli Stati Uniti dopo le parole sprezzanti di Donald Trump riguardo a BMW e Mercedes che affollano la Fifth Avenue, e dopo la sua decisione di alzare i dazi doganali sull’acciaio e sull’alluminio europeo, il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha incontrato il Presidente americano lo scorso luglio ed è stata siglata una tregua in previsione di ulteriori negoziati.
Nel frattempo, a metà febbraio, il Segretario al Commercio USA, ha alzato l’asticella, presentando a Trump un rapporto in cui si sosteneva che le automobili importate «minacciavano la sicurezza nazionale»; il Presidente aveva 90 giorni a disposizione, ovvero fino a metà maggio, per prendere una decisione.
Agli inizi di aprile gli Stati Uniti hanno sollevato nuovamente il problema dei sussidi pubblici all’Airbus. In Europa, la Commissione europea ha ricevuto il 15 aprile il via libera dal Consiglio dei Ministri dell’UE per negoziare un nuovo accordo commerciale con gli USA.
Il Commissario UE al commercio, Cecile Malmström, guiderà i negoziati con il rappresentante per il commercio USA, Robert Lighthizer. I colloqui verteranno unicamente sui dazi sulla produzione e quindi non includeranno agricoltura, servizi, accesso agli appalti pubblici e protezione degli investimenti.
Nel frattempo, dopo tre anni di atteggiamenti recalcitranti da parte della Gran Bretagna, una Brexit senza accordi potrebbe far scattare automaticamente dei dazi doganali come previsto dalle norme del WTO. I dazi varierebbero da un prodotto all’altro e ammonterebbero ad esempio al 10% per le automobili e la componentistica auto.
Norme WTO: Regno Unito ed Europa fortemente penalizzate
Sia il Regno Unito, sia l’Europa continentale sarebbero fortemente penalizzati perché il Regno Unito esporta ogni anno 631.000 veicoli agli altri 27 Paesi europei (l’81,5% della produzione britannica viene esportata, di cui il 51% all’UE) e perché l’UE esporta quasi 1,8 milioni di auto al Regno Unito (12% della produzione totale e 32% delle esportazioni).
Visto che in Europa il prezzo medio di un’automobile nuova, IVA esclusa, è di circa 25.000 euro, i dazi del WTO farebbero lievitare il suo prezzo del 10%, ovvero di 2.500 euro. Dato che le automobili hanno un’elevata elasticità della domanda al prezzo, ciò potrebbe determinare un calo del 10% delle vendite dei modelli interessati.
Cosa ne pensano la Commissione UE, la BoE e la BCE
A livello macroeconomico, diversi organi nazionali e internazionali hanno già fornito alcune indicazioni utili. Secondo la Commissione Europea, nonostante il rapporto commerciale bilaterale sia in senso stretto strutturalmente favorevole all’UE, un quadro più ampio che include servizi, investimenti e utili rimpatriati mostra una situazione di gran lungo più equilibrata, con un leggero avanzo a favore degli Stati Uniti sia nel 2017, sia nel decennio scorso (2007-2017).
Nel frattempo, la Bank of England ha stimato che una guerra commerciale globale in cui tutto il mondo alza i dazi di circa il 10% sottrarrebbe in tre anni circa il 2,5% alla crescita del PIL.
Prendendo in considerazione la sola Brexit, in un rapporto dello scorso novembre il governo britannico ha stimato che, in caso di una Brexit senza accordo, il PIL britannico potrebbe calare a lungo termine dell’8% rispetto alla sua traiettoria iniziale. Stando alle varie proiezioni, nel 2020 il Regno Unito potrebbe finire col gravitare in territorio recessivo invece di conseguire la crescita dell’1,4% prevista attualmente.
Infine, in un recente articolo del Bollettino economico BCE sulle «implicazioni economiche del crescente protezionismo, per l’area dell’euro e in una prospettiva globale» gli autori hanno dichiarato che «finora si è ipotizzato un impatto contenuto, tuttavia potrebbero esserci dei forti effetti negativi se le tensioni commerciali dovessero peggiorare ancora».
L’analisi di Amundi Asset Management
L’approccio di Amundi AM è focalizzato sui mercati azionari è meno accademico e più pratico. La nostra intenzione è soprattutto quella di capire quali Paesi e settori in Europa risentirebbero maggiormente di un eventuale aumento dei dazi doganali.
A tale scopo l’asset manager ha preparato un elenco con l’esposizione geografica dei diversi indici e sotto-indici. Questo filtro è ovviamente ipersemplificato. Per renderlo completo dovremmo includere non solo le vendite, ma anche gli acquisti e la produzione effettuata all’estero. Allo stesso modo, l’esposizione netta così calcolata dovrebbe essere confrontata con i margini di ogni entità presa in considerazione.
L’impatto, per esempio, di un dazio netto del 2% sul fatturato dipenderebbe dal margine dell’entità. In ogni caso, questo primo filtro fornisce alcune indicazioni utili e dovrebbe semplificare le eventuali ricerche complementari. L’asset manager ha esaminato in particolare quanto le azioni europee sono esposte agli Usa.
Stati Uniti meno vulnerabile dell’Europa
Il grafico qui sopra mostra che le vendite negli Stati Uniti rappresentano in media il 20% del fatturato aggregato delle società che costituiscono l’MSCI Europe. Nell’altra direzione, le vendite verso l’Europa rappresentano il 14% del fatturato aggregato delle società che costituiscono l’MSCI US, di cui il 12% verso la sola UE.
Gli Stati Uniti, nel caso di una guerra tariffaria sarebbero quindi meno vulnerabili dell’Europa. Tuttavia, sarebbero comunque esposti pesantemente e riporterebbero di certo delle perdite se il conflitto dovesse degenerare.
Germania esposta al 40% in alcuni settori
C’è però da tener presente che l’esposizione dell’Europa agli Stati Uniti varia da Paese a Paese, dal 2% del Portogallo al quasi 30% della Svizzera. Minore la dispersione nei Quattro Grandi dell’MSCI Europe – Germania, Francia, Regno Unito e Svizzera – che insieme rappresentano il 73% della capitalizzazione di mercato dell’Europa.
La loro esposizione agli USA varia dal 16% al 30% ed è in media del 22% (in base alle ponderazioni dell’MSCI Europe). Poiché la Svizzera non fa parte dell’UE e il Regno Unito rappresenta un caso a sé per via della Brexit e del suo status di stretto alleato degli Stati Uniti, tra i Quattro Grandi la Germania appare il Paese più pesantemente esposto e addirittura vicino al 40% in alcuni settori.
Settori a rischio: non solo automotive, ma anche farmaceutico
Uno sguardo più dettagliato all’MSCI Europe mostra che, con il 20% delle vendite negli Stati Uniti, il settore automobilistico europeo presenta un’esposizione in linea con la media. Contrariamente alle notizie che possono essere circolate, è ben lungi dall’essere il settore più pesantemente esposto agli Stati Uniti.
Sarebbe indubbiamente penalizzato dall’aumento dei dazi doganali - gli Stati Uniti rappresentano il maggior mercato per i produttori tedeschi di automobili dopo la Cina, ma sono a rischio anche altri settori.
Pensiamo in particolare al settore farmaceutico e a quello delle attrezzature sanitarie che esportano rispettivamente il 37% e il 36% della loro produzione negli Stati Uniti. Inoltre, in occasione delle prossime elezioni, assisteremo di certo alle rituali campagne sui prezzi dei farmaci e sulla sanità in generale.
Poiché questi settori in tempi normali sono considerati dei settori difensivi, potrebbero riservare una doppia delusione se dovesse esserci una guerra commerciale anche tra Stati Uniti ed Europa.
Dazi Usa-Europa: gli altri settori coinvolti
Quattro altri settori industriali rivestono un ruolo più importante del settore automobili & componentistica auto, Prodotti alimentari, bevande & tabacco, tecnologia hardware, beni strumentali e prodotti per l’igiene personale e per la casa, le cui vendite negli Stati Uniti oscillano tra il 22% e il 25% del loro totale.
Nel grafico sono stati isolati i servizi. Nonostante alcuni di essi siano pesantemente esposti agli Stati Uniti, sono stati oggetto di una valutazione diversa perché difficilmente sarebbero soggetti a dazi doganali anche se, in una guerra commerciale all’ultimo sangue, potrebbero risentire di molte barriere non tariffarie quali norme, certificazioni, protezionismo legale, nonché degli effetti extraterritoriali della legge americana.
Dazi Usa-Europa: nessun vincitore
Vista la portata dei legami tra Stati Uniti e Unione Europea, entrambi i partner uscirebbero sconfitti da una guerra tariffaria. Sebbene da un punto di vista puramente commerciale il rapporto bilaterale sia strutturalmente favorevole all’UE, se si tiene conto anche dei servizi, degli investimenti e del rimpatrio degli utili il rapporto risulta quasi in perfetto equilibrio e forse addirittura a vantaggio degli Stati Uniti.
Visto che le merci sono più facilmente tassabili dei servizi, l’Europa sarebbe di certo la prima a pagare lo scotto dell’aumento dei dazi doganali. Nonostante le automobili e la componentistica europea appaiano già condannate da una giuria di tweet, non è questo il settore più pesantemente esposto agli Stati Uniti; inoltre vanta diversi contro-argomenti a suo favore.
Secondo Amundi AM è necessario prestare maggiore attenzione e analizzare più a fondo altri settori come sanità, beni strumentali, prodotti alimentari, bevande e tabacco che sono meno nell’occhio del ciclone mediatico, ma che presentano esposizioni altrettanto consistenti agli Stati Uniti.
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