Debito pubblico collocato all’estero: c’è differenza tra creditori nazionali e internazionali?

Michele Ciccone

16 Ottobre 2013 - 16:25

Il debito pubblico collocato all’estero è così diverso da quello emesso all’interno dei confini nazionali? Con i titoli detenuti da soggetti esteri sorge un conflitto intergenerazionale all’interno del paese emittente? Analizzando da vicino la questione possiamo dire di no.

Debito pubblico collocato all’estero: c’è differenza tra creditori nazionali e internazionali?

Nel corso di un precedente articolo abbiamo fornito alcune nozioni di base riguardanti il debito pubblico, cos’è, se rappresenta un onere per le future generazioni e se l’accumulo di elevati livelli di debito pubblico sia un problema.

Vogliamo ora estendere la discussione introducendo un argomento delicato e complesso: il debito pubblico detenuto all’estero. Vedremo come le argomentazioni condotte per i titoli di stato emessi all’interno possano essere estese anche a quei titoli che lo Stato colloca fuori dai confini nazionali. Prima di tutto occorre però rispondere ad alcune domande.

Cos’è il debito estero?

Il debito estero è la quota del debito pubblico e privato di una nazione detenuta da soggetti non residenti. Esso misura, complessivamente, l’ammontare di valuta estera che i soggetti pubblici e privati di una nazione devono restituire ai residenti (pubblici e privati) di un’altra nazione (il caso dell’euro è a parte e verrà trattato in seguito).

Perchè lo Stato o un’impresa si indebita verso soggetti esteri?

Generalmente gli Stati, le imprese e le banche emettono obbligazioni all’estero allo scopo di procurarsi una valuta diversa da quella propria del paese di origine. Il primum movens di un collocamento di titoli all’estero è quindi l’esigenza valutaria, sia per lo Stato che per un’impresa o una banca.

Cosa se ne fa lo Stato o un’impresa della valuta estera?

Un’impresa può avere bisogno di valuta estera per effettuare investimenti in una nazione diversa da quella di origine o nella quale concretamente opera; uno Stato può avere necessità di procurarsi valuta estera per finanziare un eccesso delle importazioni sulle esportazioni, ossia un saldo negativo della bilancia commerciale del paese (questo punto verrà sviluppato più avanti).

Come funziona in sintesi il collocamento di titoli di stato all’estero?

Supponiamo che lo Stato italiano abbia bisogno di procurarsi valuta estera, poniamo dollari, per un valore complessivo di 100. Cosa farà allora? Emetterà titoli pubblici denominati in dollari per un valore di 100. L’economia nel suo complesso, ossia considerando tutti i soggetti economici in aggregato, ceteris paribus ha emesso passività (titoli pubblici) per 100 dollari e ha contemporaneamente incamerato attività (moneta) per 100 dollari.

Ora, la liquidità che lo Stato riceve (i 100 dollari) viene depositata presso la Banca Centrale del Paese la quale la converte in valuta nazionale e la fornisce allo Stato: supponendo che la moneta nazionale sia l’euro, la Banca Centrale fornisce euro al Tesoro italiano in cambio di dollari.

Nelle casse dello Stato entrano quindi euro, i quali vengono adoperati dallo Stato stesso per effettuare le spese necessarie (consumi e/o investimenti).
Nelle casse della Banca Centrale sono invece depositati dollari, che possono essere adoperati dalla stessa autorità monetaria nella maniera considerata da lei più opportuna; come si suole dire, la moneta (i 100 dollari) in mano alla Banca Centrale è un’attività fruttifera almeno potenzialmente.

Può essere utile riepilogare quanto detto fino ad ora con un semplice schema:

Posizione verso Estero dell’Italia

Attività Passività
+Riserve Valutarie 100 +Titoli detenuti all’estero 100

Banca Centrale

Attività Passività
+Riserve Valutarie 100 +Moneta 100

Ministero dell’Economia

Attività Passività
+Moneta 100 +Debito Pubblico 100

La prima tabella mostra come l’emissione di un titolo all’estero produca per l’economia nel suo complesso il contemporaneo sorgere di una passività (100 dollari di titoli) e di una attività (100 dollari: vi è un aumento delle riserve valutarie).

La seconda tabella mostra come la Banca Centrale abbia come attività 100 dollari di moneta e come passività il controvalore in euro dei 100 dollari che fornisce allo Stato (per semplicità si è fatta l’ipotesi semplificatrice che il cambio sia di 1 a 1).

La terza tabella mostra come lo Stato detenga moneta (euro) come attività (quella fornitagli dalla Banca Centrale) e come passività titoli del debito pubblico emessi per un valore di 100 dollari.

Si può quindi vedere come per i tre soggetti nazionali coinvolti nel collocamento di titoli all’estero, il semplice fatto che tali titoli siano stati di fatto collocati non muta la posizione patrimoniale dell’Italia, della Banca Centrale e dello Stato.
Per usare un linguaggio più tecnico, il movimento di capitale in entrata (l’entrata in Italia di 100 dollari) non muta la posizione debitoria del Paese.

Cosa accade quando lo Stato deve pagare gli interessi sul debito pubblico detenuto all’estero?

Arriviamo al punto clou della questione. Ritorniamo per un attimo alla tabella in cui si vede la situazione patrimoniale della Banca Centrale. Essa possiede attività (Riserve Valutarie) per un valore di 100.

Tali riserve sono a loro volta impiegabili nell’acquisto di attività fruttifere sull’estero, capaci di produrre flussi di interessi in entrata dall’estero. Gli interessi attivi (i flussi di interessi in entrata) sono tali da compensare gli interessi in uscita sul debito pubblico.

Ossia, considerando l’economia nel suo complesso, lo Stato paga gli interessi sul debito pubblico (interessi passivi), ma la Banca Centrale riceve gli interessi (interessi attivi) sulle attività fruttifere nelle quali ha investito le Riserve Valutarie. La posizione verso l’estero dell’Italia è riassunta allora in questa tabella:

Posizione Estero dell’Italia

Attività Passività
Interessi Attivi Interessi Passivi

Gli interessi attivi possono allora essere maggiori, uguali o minori di quelli passivi, con ciò determinando una diversa posizione verso l’estero dell’Italia a seconda dei casi. Il fatto che la Banca Centrale possa impiegare le Riserve Valutarie in attività che rendono un tasso d’interesse inferiore a quello che deve pagare lo Stato sui titoli emessi (con ciò determinando una posizione debitoria verso l’estero) è una scelta dell’autorità monetaria non dipendente dall’emissione di titoli all’estero.
L’economia nel suo complesso, ossia la nazione, non è a priori in debito o in credito per il semplice fatto che obbligazioni pubbliche siano state collocate presso residenti esteri.

Se la valuta estera esce immediatamente dal paese per finanziare un deficit commerciale?

Può accadere che la valuta estera acquisita per effetto del collocamento estero del debito pubblico venga utilizzata per finanziare una eccedenza delle importazioni sulle esportazioni, e cioè un saldo negativo della bilancia commerciale.

Quella attività sull’estero allora scomparirebbe dal bilancio del Paese (e specificamente della Banca Centrale), e il debito pubblico esterno resterebbe quale debito della nazione.

In questo caso però la causa dell’indebitamento della nazione non starebbe nel debito pubblico collocato all’estero, ma appunto nel deficit commerciale del Paese.

In presenza di un deficit della bilancia commerciale quel debito si sarebbe infatti prodotto anche qualora il bilancio pubblico fosse stato in pareggio: in quel caso esso avrebbe assunto una forma diversa, ad es. debito nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, ma sarebbe comunque esistito.

Ma gli interessi passivi chi li paga? Si pone la questione del conflitto generazionale?

L’analisi economia keynesiana ha mostrato che non esiste un limite all’espansione del debito pubblico. Ciònonostante, ammettendo che tale limite esista e che quindi sia necessario realizzare avanzi primari di bilancio, gli interessi passivi sul debito pubblico vengono pagati con i proventi derivanti dall’imposizione fiscale.

Esiste allora, così come accade per il debito pubblico detenuto dai residenti nazionali, un conflitto distributivo all’interno della stessa generazione, ossia tra chi riceve gli interessi attivi (la Banca Centrale) e chi paga gli interessi passivi (i soggetti economici diversi dalla Banca centrale e dallo Stato) e non tra generazioni diverse.

Infatti, considerando l’economia nel suo complesso, la Banca Centrale fa parte della collettività e quindi della generazione al pari degli altri soggetti economici. Le generazioni future, allora, e quindi le «collettività future», erediteranno sia le attività fruttifere (interessi attivi) sia le passività (interessi passivi).

Il vero nodo da sciogliere è allora il conflitto all’interno della medesima generazione sulla politica fiscale (le tasse da pagare) le cui redini sono tenute dall’autorità governativa.

Al pari del debito pubblico detenuto all’interno, il debito pubblico collocato all’estero dunque non fa sorgere alcun conflitto intergenerazionale.

E se i titoli italiani sono acquistati dai residenti dell’area euro?

In questo caso la Banca Centrale non effettua alcuna conversione valutaria poichè i titoli sono emessi nella stessa moneta (l’euro) utilizzata all’interno del paese emittente. Si potrebbe allora pensare che non vi sia alcuna valuta estera da investire. E in realtà è così.

Non bisogna dimenticare però che sta entrando moneta (euro) nel paese emittente, e questa moneta è, al pari dei titoli pubblici, un’attività finanziaria. Lo Stato infatti effettua le spese programmate con la moneta che ha ricevuto dalla vendita di titoli, reimmettendola nel sistema economico, creando produzione, occupazione, redditi e quindi risparmio che non si sarebbe altrimenti formato (questo in una visione dell’andamento del sistema economico di tipo keynesiano).

Tale risparmio può allora essere investito in attività fruttifere, al pari di quanto visto con l’operato della Banca Centrale. Si ritorna allora a quanto detto in precedenza, ossia al sorgere di un conflitto che è tutto interno alla generazione.

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