La Russia ha onorato le scadenze su eurobond ma resta l’attesa per il via libera delle banche o l’eventuale annullamento da parte Usa. Il cui Tesoro chiede però «cautela» per tutelare gli investitori
Scaduto il termine del 25 maggio senza che gli Stati Unti abbiano dichiarato ufficialmente se prorogavano o eliminavano la deroga al pagamento di obbligazioni sovrane russe, tutti gli occhi erano puntati sull’orologio in attesa della prima deadline. Ieri infatti era l’ultimo giorno utile per il pagamento di coupon legati a due eurobond, uno denominato in dollari e l’altro in euro.
E sul filo di lana, la National Settlement Depository (NSD) russa ha confermato la transazione relativa a 71,25 milioni di dollari su una nota denominata in biglietti verdi e 26,5 milioni di euro per un’altra in valuta comune europea. Al momento, né le banche chiamate a gestire quelle operazioni, né il governo statunitense hanno obiettato alcunché. Quindi, formalmente la Russia ha superato un altro ostacolo. E rinviato il default. Ovviamente, tutto può accadere da qui alla riapertura dei mercati lunedì, soprattutto alla luce della piega tutt’altro che positiva presa dalle operazioni militari per l’esercito ucraino. E per l’indiscrezione in base alla quale, ora Mosca punterebbe di nuova alla conquista di Kiev, dopo aver chiuso il capitolo relativo al Donbass.
Però qualcosa scricchiola, nuovamente. L’apparato apparentemente inflessibile e spietato delle sanzioni contro il Cremlino, alla prova dei fatti, sembra imbarcare acqua come il Titanic. E la stessa Reuters,{{}} fonte certamente non tacciabile di simpatie filo-russe, fa notare come Mosca appare sull’orlo del precipizio di una crisi debitoria unica nel suo genere. Ovvero, gli investitori di una delle principali economie emergenti dovranno fronteggiare un default non dovuto a ragioni di casse statali vuote ma di mero pragmatismo geopolitico. Come dire, qualche profilo di dubbio sulla legittimità di una simile operazione esiste. Perché se chiaramente le agenzie di rating non perderanno tempo nel proclamare l’evento di credito e operare il downgrade a spazzatura del debito russo, Mosca potrebbe appellarsi direttamente al mercato. Lo stesso che, sanzioni in vigore, ha premiato il rublo come miglior valuta globale da inizio anno.
Perché, in punta di razionalità, non è Mosca a non voler o poter pagare, sono gli Usa che intendono bloccare ogni tipo di transazione in tal senso. Insomma, la Banca centrale di Mosca avrebbe gioco relativamente facile nel far notare come, dopo il congelamento delle riserve, ora anche i pagamenti garantiti dal flusso di cassa degli acquisti esteri di gas e petrolio stanno patendo un de facto congelamento unilaterale. E paradossalmente, in tal senso un assist alla Russia è arrivato pochi giorni fa proprio dalla co-protagonista insieme a Mario Draghi della decisione di bloccare i conti esteri della Bank of Russia, ovvero la segretaria al Tesoro statunitense ed ex numero uno della Fed, Janet Yellen. La quale deve aver pensato che, stante il livello dell’inflazione, il default russo può aspettare ancora un pochino, mentre le dinamiche interne legate alla galoppata dei prezzi no. Quantomeno, alla luce dei soli sei mesi che dividono il Paese dalle elezioni di mid-term e con un Donald Trump tornato prepotentemente sulla scena.
Detto fatto, Joe Biden avrebbe accelerato le pratiche per l’invio di un nuovo carico di armamenti pesanti - fra cui missili a lungo raggio - a Kiev. proprio come mossa per salvare la faccia rispetto a un eventuale e ulteriore ritardo nella proclamazione del default di Mosca. A ridosso della scadenza del 25 maggio, Janet Yellen ha infatti invitato tutti alla cautela rispetto a un stop draconiano e immediato della deroga sui pagamenti di debito da parte di Mosca, ritenendo preferibile garantire un ulteriore periodo di transizione ordinaria che permetta agli investitori statunitensi di vendere quelle securities. Come dire, evitiamo di spararci nei piedi. Perché questi grafici
parlano chiaro rispetto alla realtà che sta colpendo qualche decina di milioni di Mr. Smith, già costretti a veri e propri salassi alla pompa della benzina - 5 dollari al gallone - alla vigilia della stagione estiva e degli spostamenti di massa per le vacanze.
La prima immagine mostra come l’inflazione giunta all’8,3% su base annua ad aprile abbia colpito il più iconico e popolare dei cibi statunitensi, l’hamburger, mentre la seconda mostra come la crisi da influenza aviaria in atto negli Stati Uniti abbia fatto crollare la produzione di uova al minimo da sette anni e sostanziato il cosiddetto brunch crunch su un altro caposaldo americano come l’abbinata fra uova, bacon e succo d’arancia. Non a caso, al centro della scommessa truffaldina dei fratelli Duke in Una poltrona per due. E se la terza immagine mostra come il dato sulla fiducia dei consumatori appena diffuso dall’Università del Michigan sia crollato ai minimi da 13 anni, l’ultima parla una lingua ancora più allarmante. In un Paese il cui Pil è composto al 70% da consumi personali, oggi il tasso di risparmio è al livello del settembre 2008. Piena crisi subprime e Lehman. Occorre stimolo, sostegno, Qe e quant’altro in vista del voto, Insomma, serve che la guerra prosegua e in tal senso un default russo, forse, ora potrebbe rivelarsi decisamente più un danno che un beneficio.
La bancarotta indotta di Mosca è come il paradiso di Warren Beatty: per adesso, può attendere. E se il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, sostiene fiducioso che comunque un default tecnico non avrebbe alcun impatto su quell’economia russa che Vladimir Putin ha definito rafforzata dalle sanzioni, attenzione ai movimenti sottotraccia di questa fase confusionaria della crisi ucraina. Il già fallito Sri Lanka, infatti, ha rotto gli indugi e reso noto di aver acquistato un carico di petrolio Siberian Light da Mosca attraverso l’azienda energetica Ceylon Petroleum Corporation per la sua raffineria di Sapugaskanda per ovviare alla totale mancanza di carburante: il tanker Nissos Delos è arrivato ieri dopo un viaggio cominciato il 29 marzo dal porto russo di Novorossiysk.
Ancor più interessante la fonte a cui il governo dello Sri Lanka e il suo neo-eletto premier Ranil Wickremesinghe ha attinto per racimolare i 75 milioni di dollari necessari a pagare il carico: un prestito dal governo cinese, a fronte di 50 miliardi di debito estero e 4 miliardi di fondi dell’FMI da rinegoziare. Qualcuno avvisi l’Ue che la situazione sta evolvendo. E rischia seriamente di sfuggire di mano, se si continua a seguire il playbook ormai desueto del mondo libero che sanziona e isola la Russia dittatoriale e guerrafondaia. In tal senso, Viktor Orban potrebbe presto passare alla storia come l’uomo che con il suo interessato ostracismo al nuovo pacchetto di sanzioni ha salvato l’Europa da se stessa. Il tutto in attesa del formale clearing di quei due pagamenti di coupon: in caso contrario, la guerra entrerà in una fase nuova. Di scontro frontale. E totale.
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