Discriminazioni sul lavoro: un illecito amministrativo. Quali sono le nuove sanzioni?

Rosaria Vincelli

18 Febbraio 2016 - 17:13

Discriminazioni sul lavoro ora un illecito amministrativo: da febbraio prevista solo una sanzione pecuniaria. Cosa prevedono le nuove sanzioni per alcuni tipi di discriminazione?

Discriminazioni sul lavoro: un illecito amministrativo. Quali sono le nuove sanzioni?

Le discriminazioni sul luogo di lavoro costituiscono ora un illecito amministrativo e non più un reato perseguibile penalmente, infatti da febbraio 2016 è prevista solo una sanzione pecuniaria.
Coloro che discriminano sul lavoro sono puniti con una sanzione pecuniaria che però, rispetto alle precedenti, sono molto più alte. Vediamo cosa prevede il Decreto di depenalizzazione e quali sono le diverse sanzioni per alcuni tipi di discriminazione.

Discriminazione sul lavoro: illecito amministrativo e sanzione pecuniaria

La discriminazione sul lavoro, in seguito al Decreto di depenalizzazione in materia di lavoro e legislazione sociale non è più un reato penale, ma si è trasformato in un illecito amministrato e ciò vuol dire che i colpevoli possono essere puniti solo con una sanzione pecuniaria anche se molto più alta rispetto al passato.

Infatti, prima del decreto, la sanzione pecuniaria per tali tipi di reati oscillava tra i 250 a i 1.500 euro, niente rispetto ai 5.000-10.000 euro previsti adesso.

Le sanzioni pecuniarie si applicano per qualsiasi tipo di discriminazione perpetrata sul luogo di lavoro: sesso, nazionalità, religione, opinioni e qualsiasi altra condizione.
Vediamo di seguito le sanzioni per le specifiche tipologie.

Discriminazione sul lavoro: condizioni familiari

In base a quanto stabilito dalla normativa rientrano tra i casi punibili con una sanzione pecuniaria tra i 5.000 e i 10.000 euro quelli in cui il datore di lavoro decida di licenziare o demansionare illegittimamente un lavoratore per i seguenti motivi:

  • stato matrimoniale;
  • stato di famiglia;
  • stato di gravidanza;
  • stato di maternità o di paternità, anche adottive.

Discriminazioni sul lavoro: motivi legati al sesso

Sono puniti con una sanzione tra i 5.000 e i 10.000 euro i datori di lavoro che pongono in essere, in modo diretto od indiretto, discriminazioni legate al sesso.

La sanzione viene applicata sia per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro, e quindi l’assunzione, che l’attribuzione di una qualifica, una mansione o la crescita professionale all’interno dell’azienda.

Discriminazione sul lavoro: ambiti di discriminazione

Assunzione e formazione
Le aziende che pongono in essere atti discriminatori che si ripercuotono sulle modalità di assunzione e formazione del lavoratore sono, quindi, punite con una sanzione che oscilla tra i 5.000 e i 10.000 euro.

Non è rilevante il tipo di contratto al quale è sottoposto il dipendente, che sia a tempo indeterminato, determinato, a progetto, etc, i datori di lavoro non possono differenziare le modalità di assunzione o crescita professionale dei lavoratori per nessun motivo.

Lo stesso principio di non discriminazione vale per i percorsi di formazione e orientamento professionali; aggiornamento; perfezionamento; riqualificazione professionale; accesso agli stage formativi e di orientamento.

Retribuzione, assegni familiari e pensione
La stessa sanzione è prevista per quelle aziende che applicano discriminazioni che ricadono sulla retribuzione, sull’assegnazione degli assegni familiari (Anf) e sulla pensione.

Se, infatti, nello svolgimento della propria attività un lavoratore viene discriminato per motivi legati al sesso, alla religione, alle opinioni, etc, e, a parità di mansioni, gli viene corrisposta una retribuzione minore rispetto a quella di un altro dipendente, il datore di lavoro incorre nella sanzione pecuniaria prevista dal Decreto di depenalizzazione (5.000-10.000 euro).

Stessa sanzione nel caso in cui gli assegni familiari (Anf) non vengano corrisposti in maniera uguale ai dipendente: ad esempio per la donna lavoratrice o pensionata i limiti devono essere gli stessi previsti per il lavoratore o pensionato.

Per quanto attiene poi alla pensione, ad esempio le lavoratrici in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia hanno diritto a proseguire il rapporto sino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni di legge, regolamenti e contratti collettivi e qualsiasi discriminazione, come la cessazione “forzata” dal servizio applicata alle sole lavoratrici prevede la punizione del datore di lavoro con la sanzione pecuniaria prevista dal Decreto.

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