Fra dottrina McDonald’s e variabile Pilato, l’Europa sta stringendosi il cappio al collo

Mauro Bottarelli

16/05/2022

L’Ue getta la maschera e ammette il flop dell’embargo energetico, mentre la multinazionale Usa abbandona la Russia e invia un inquietante segnale politico. Ma è un report di Rystad Energy a far paura

Fra dottrina McDonald’s e variabile Pilato, l’Europa sta stringendosi il cappio al collo

«Sull’embargo al petrolio dobbiamo convincere tutti e 27 e tra loro c’è qualcuno che ha più problemi di altri. È una situazione oggettiva che alcuni Stati membri affrontino maggiori difficoltà, perché sono più dipendenti dal petrolio russo, perché non hanno sbocco sul mare, perché non hanno la possibilità di ricevere navi cisterna. L’Ungheria ha solo due gasdotti e vengono dalla Russia. Sicuramente ne discuteremo e faremo del nostro meglio per far evolvere la situazione ma non posso garantire che accada perché le posizioni sono piuttosto forti». Parole e musica di Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera.

Insomma, Ponzio Pilato, non tanto e non solo perché fino a oggi il ministro degli Esteri dell’Ue aveva incarnato l’anima più da falco dell’Unione, bensì perché pronunciare una frase simile all’arrivo al Consiglio dei capi delle diplomazie a Bruxelles equivale a smentire quanto minacciato finora. Della serie, abbiamo scherzato. Tanto più che queste parole hanno fatto seguito al via libera della stessa Europa all’apertura dei cosiddetti conti K presso Gazprombank per il pagamento in rubli del gas russo. Caporetto, quindi. Ma occorre millantare, occorre dissimulare. Occorre essere Ponzio Pilato, schierandosi prima e ufficialmente con la linea dura della Nato e poi, nei fatti, cedendo ai diktat di Mosca e ammettendo un’impotenza sistemica rispetto alla dipendenza energetica.

Di fatto, la conferma implicita del due di picche ottenuto da Mario Draghi a Washington rispetto al tetto sul prezzo del gas Lng che gli Usa dovrebbero fornire in gran quantità all’Ue, proprio per rendere meno traumatico l’affrancamento da Mosca. A oggi, restano la pista algerina e quella dell’Angola. Ovvero, la certificazione di un inverno di razionamenti, blocchi forzati delle produzioni e termosifoni a malapena tiepidi. E a confermare questo scenario ci ha pensato in prima battuta proprio il prezzo dei futures del Durch, il gas naturale europeo trattato ad Amsterdam. È bastato che Borrell smentisse ogni possibile bando energetico per far scendere la quotazione in area 92 euro. Il tutto senza che il gas fosse nemmeno contemplato nel fantomatico sesto pacchetto di sanzioni, quello allo studio e già apparentemente archiviato.

Ma c’è dell’altro e ce lo mostrano plasticamente questi due grafici

Evoluzione delle dinamiche di domanda e offerta di gas LNG Evoluzione delle dinamiche di domanda e offerta di gas LNG Fonte_ Rystad Energy
Correlazione fra prezzo futures del gas Ue e previsione prospettica di Rystad Energy Correlazione fra prezzo futures del gas Ue e previsione prospettica di Rystad Energy Fonte: Rystad Energy/Zerohedge

contenuti nell’ultimo studio di Rystad Energy diffuso proprio oggi e che sembra spazzare via ogni possibile alternativa concreta e immediata al cordone ombelicale con la Russia. A confermarlo nell’analisi introduttiva è Kaushal Ramesh, senior analist che ha curato il report: «Semplicemente non c’è abbastanza Lng a disposizione per andare incontro alla domanda crescente e questo si traduce nel breve termine in un più che probabile inverno di criticità per l’Europa. A livello di produzione, le dinamiche ci suggeriscono che il prossimo boom Lng ormai è qui ma arriverà comunque troppo tardi per soddisfare una domanda in rapidissimo ed esponenziale aumento. Questo apre uno scenario di sostenuto deficit dell’offerta, prezzi alti, estrema volatilità, mercati rialzisti sul comparto ma anche aumento delle tensioni geopolitiche. Infine, occorre sottolineare come l’Ue si sia posta un ambizioso obiettivo di riduzione della dipendenza dal gas russo del 66% entro la fine dell’anno ma questo cozza platealmente con la necessità di aumentare gli stoccaggi fino all’80% della capacità entro il 1 novembre».

Insomma, un bel bagno di realismo. Ammesso e non concesso che Rystad Energy non sia una quinta colonna della disinformazione del Cremlino. Ma per un segnale concreto, ecco arrivarne in contemporanea uno simbolico, decisamente importante e che sarebbe pericoloso ignorare. Mentre Renault abbandona la produzione e cede allo Stato russo gli stabilimenti, non prima di aver messo nero su bianco una opzione di riacquisto entro 6 anni, ecco che McDonald’s decide di chiudere definitivamente al mercato russo. Tutti gli 850 ristoranti del Paese sono in vendita, poiché il loro business «non è più sostenibile ne é compatibile con i valori della società». E il segnale è stato inviato molto chiaramente, poiché se nell’attesa di un compratore la multinazionale Usa continuerà a pagare i 62.000 dipendenti, ha invece iniziato da subito l’operazione di de-arch, la rimozione del doppio arco giallo che è simbolo globalmente riconosciuto della catena di fast food. Cosa è cambiato da marzo, quando McDonald’s chiuse la gran parte dei punti vendita come reazione alla campagna militare russa in Ucraina?

Nulla a livello concreto, molto a livello di messaggio politico. E a spiegarlo ci pensa Thomas Friedman, columnist premio Pulitzer del New York Times, il quale coniò una teoria che rifletteva la svolta rivoluzionaria impressa dallo sbarco del fast food Usa nella Russia post-sovietica: «Due nazioni che hanno un McDonald’s non si combatteranno mai». Il giornalista americano spiegava così la formula in uno dei suoi libri, la cosiddetta dottrina McDonald’s appunto: quando raggiunge un livello di sviluppo economico in cui la classe media è abbastanza diffusa da sostenere l’apertura dei McDonald’s, un Paese diventa una McDonald’s country, cioè non più interessato a combattere guerre. Insomma, semplificando non poco un concetto decisamente più profondo, i Paesi con forti legami economici hanno troppo da perdere a farsi la guerra. E questo grazie alla globalizzazione.

Insomma, il de-arch di McDonald’s in Russia può voler dire tutto e niente. Ma in quel “tutto” sono contemplati il velato e sottinteso messaggio di una guerra diretta ormai divenuta potenzialmente possibile e la presa d’atto della fine della globalizzazione e dell’inizio di un nuovo equilibrio bipolare che veda da un lato i Paesi Nato e dall’altro Cina-Russia-India. L’Europa, fra minacce lanciate a caso e senza possibilità concreta di essere realizzate e pedissequa recita del playbook americano rispetto allo scenario ucraino, rischia quindi di stringersi il cappio al collo da sola. Perché l’America, in questo momento ha un’unica priorità: sperare che la Cina, stante il rallentamento record della produzione industriale, continui a svalutare lo yuan e garantisca così un minimo di congelamento esogeno dell’inflazione. Per il resto, il boom Lng prospettato da Rystad Energy le garantisce il monopolio della next big thing di mercato e dei rapporti di forza con l’Ue. La quale viene quindi mandata avanti per fare il lavoro sporco. Attenzione, perché da qui a pochi mesi il conto ci sarà presentato. Presumibilmente salatissimo.

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