Con gli 1,8 trilioni di rubli di aprile, Mosca ha già incamerato a tempo di record la metà dei 9,5 trilioni pianificati nel budget federale. E stando a dati IEA, l’Ue ha pesato per il 43% del totale
Gli occidentali si stanno rivelando miopi, le sanzioni danneggiano loro. Così parlò Vladimir Putin. prima che le notizie in arrivo da Finlandia e Svezia innescassero una nuova escalation nel conflitto fra Russia e Nato. E imprimendo un drastico cambio di passo nella strategia del Cremlino, il quale alla minaccia di contromisure militari per la decisione di Helsinki e Stoccolma di aderire da subito alla Nato, ha fatto seguire l’avviso rispetto a uno stop immediato dei flussi attraverso la pipeline Yamal-Europe che porta il gas in Europa attraverso la Polonia.
L’ennesima minaccia, magari per alzare l’asticella della tensione e sfruttare l’apparente apertura avanzata da Mario Draghi in seno al fronte europeo, dopo la visita a Joe Biden? Forse. Di sicuro c’è quanto mostrato da questo grafico,
il quale tratteggia impietosamente il nulla autolesionista in cui si sono sostanziate finora le sanzioni europee contro la Russia, quando si parla di danni collaterali all’esiziale comparto energetico. Stando a dati IEA (International Energy Agency), quindi non tacciabili di lettura propagandistica di parte, nei soli primi quattro mesi dell’anno, Mosca ha già incassato la metà dei 9,5 trilioni di rubli pianificati nel budget federale alla voce di entrate da export energetico per l’intero 2022. I dati record di aprile, appena resi noti, parlano chiaro: 1,8 trilioni di rubli di controvalore contro 1,2 di marzo, un altro record sfondato.
Di più, il greggio e i suoi derivati hanno totalizzato vendite per 8 milioni di barili al giorno. E ciliegina sulla torta: sempre dati IEA confermano che il dato record di aprile ha visto l’Europa come assoluta protagonista, pesando per il 43% dei totale. Insomma, mentre si preannunciavano pacchetti terminali che avrebbero dovuto garantire il default russo e chiudere per sempre l’epoca della dipendenza europea da Mosca, i Paesi dell’Unione acquistava con il badile. E lo facevano, paradossalmente, in forma di hedge rispetto alla deadline da loro stessa imposta, quel 15 maggio che vedrà entrare in vigore il regime di bando verso grandi produttori con legami statali come Rosneft. Stando all’agenzia, se davvero da quella data in poi l’Europa desse vita a un embargo totale, allora Mosca potrebbe iniziare a essere colpita, poiché il forzato re-indirizzamento dei flussi globale la costringerebbe giocoforza a una chiusura si strutture produttive per risparmiare sui costi.
Ma anche qui, attenzione a fare i conti senza l’oste. A detta dell’IEA, già in questi ultimi due mesi Cina e India hanno acquistato qualsiasi carico fosse a disposizione. Di fatto, prenotandosi come acquirenti marginali e di ultima istanza di petrolio, derivati e gas che non dovessero più terminare al mercato europeo dalla prossima settimana. Ma al netto di quanto già deciso, in sede Ue permane il veto ungherese: possibile trattare su un blocco al petrolio russo, mai sul gas. E proprio ieri, a dimostrazione di quanto finora le sanzioni si siano rivelate pistole ad acqua travestite da bazooka, l’Austria ha avanzato formale richiesta a Gazprom di riempire il sito di stoccaggio di Haidach o farsi da parte, lasciando che altri operatori lo facciano. Ad avanzare il diktat, attraverso un’intervista con il quotidiano Kleine Zeitung, è stato direttamente il cancelliere, Karl Nehammer. Ovviamente, un bluff. Cui ha risposto indirettamente il Cremlino con la sua contro-minaccia di ridimensionare già da oggi i flussi della Yamal-Europe.
Ci vorrà ancora molto tempo prima che questa autolesionistica fiera dell’ipocrisia, questa danza macabra con il rischio di recessione epocale finisca? L’appello di Mario Draghi a Joe Biden, affinché chiami direttamente Vladimir Putin per trovare una soluzione negoziale, è forse frutto della presa d’atto di un fallimento totale di quanto messo in campo finora? Perché il fatto che Mosca continui con il ricatto parallelo del pagamento in rubli pare implicitamente ridimensionare anche l’ipotesi di default sulle cedole obbligazionarie in scadenza.
Se infatti Mosca temesse eventi di credito, accetterebbe di buon grado la partita di giro fra dollari/euro e forniture di gas, al fine di riutilizzare quella valuta proprio per gli oneri finanziari in scadenza e messi a rischio dal congelamento delle riserve della Banca centrale. Imporre il pagamento in valuta domestica, ormai ai massimi storici nel cambio sul dollaro dopo lo sprofondo terminale solo del 4 marzo, dimostra infatti la volontà di perseguire in un azzardo divenuto ormai arma non convenzionale. E figlio legittimo dei numeri appena certificati dall’IEA.
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