L’ex numero uno di Pimco si chiede: esiste davvero una via d’uscita dalle politiche di stimolo? La mediazione premier-Salvini per blindare la riforma salva-fondi Ue ci offre una risposta. Esplicita
Quello del Qe divenuto strumento strutturale per il funzionamento del mercato è ormai il segreto di Pulcinella. Non occorre nemmeno più ricorrere a teorie più o meno azzardate: parlano le cifre. E i trend. Ma quando alla compagnia di chi si diverte a svelare quel falso mistero si unisce un nome particolarmente significativo, tutto assume contorni differenti. E la realtà appare sotto una luce diversa, più vivida.
E’ il caso del tweet di Mohamed El-Erian, ex numero uno di Pimco, il fondo obbligazionario più grande al mondo, pubblicato prima della nota della Fed e della conferenza stampa di Jerome Powell e accompagnato da questo grafico:
Fonte: Fed/Wall Street Journal
Il bilancio della Fed è esploso dalla crisi finanziaria del 2008. E non si è più contratto molto, nemmeno quando le condizioni economiche e finanziarie consentivano di farlo. Questo sottolinea una grande domanda che necessità risposta: c’è una via d’uscita dal Qe? Una domanda che, posta da chiunque altro, entrerebbe automaticamente nel novero del già sentito.
Quasi dello scontato, alla luce di un’ormai consolidata presa d’atto della dinamica e dell’altrettanto ferrea consegna del silenzio che il sistema si è imposto al riguardo. Ma quando a muovere certi dubbi è un uomo che per anni e anni ha dettato le regole sul mercato dei bonds, qualcosa stona. Quantomeno, sorge immediato il dubbio che la fase di fronte a noi sia ormai quella dell’entrata nell’endgame. Quindi, doverosamente si corre ai ripari. E si mettono le mani avanti, memori di quanto accaduto alle società di rating subito dopo il collasso di Lehman Brothers. Possiamo chiamarla variante El-Erian. E ci riguarda. Direttamente.
Perché questa sottile atmosfera di disvelamento pare essersi poggiata anche sulla realtà politica italiana. Per alcuni giorni, l’unico argomento di discussione è stato il green pass e la sua implementazione a tempo di record. Totalizzante. E in grado di scatenare reazioni spesso scomposte. Di colpo, però, proprio mentre negli Usa si decretava il ritorno alla mascherina e l’istituto Koch dichiarava l’ingresso della Germania nella quarta ondata, il tema può essere accantonato. Rimandato senza colpo ferire. Il vertice Draghi-Salvini di ieri a Palazzo Chigi, infatti, ha avuto un’unica priorità: blindare la riforma della giustizia, pronta all’approdo in Aula e sotto minaccia del Movimento 5 Stelle. Il tema dirimente del green pass per la scuola può attendere, se ne parlerà la prossima settimana.
Certo, la scuola inizia a settembre. Ma il regime di regolamentazione vaccinale parte invece il 6 agosto: quanto rischia il governo Draghi sul testo Cartabia per arrivare a una tale mediazione al ribasso con la Lega, da sempre ondivaga sul tema delle limitazioni e quindi ben felice di rivendicare il rinvio della questione? Anzi, la domanda da porsi è un’altra: quanto rischia il Paese? Perché si sa, l’Europa è stata chiara: senza quella riforma, stop ai fondi del Recovery Plan. Probabilmente, persino ai primi 25 miliardi già attesi ad agosto. Occorre fare in fretta, correre. Quanto piangono le casse dello Stato, a fronte di una simile mossa di mediazione politica da parte dell’uomo che tutti ritenevano non ricattabile dai partiti?
Viene da chiederselo. Perché altrimenti, delle due l’una: o l’accelerazione sul green pass era totalmente strumentale ad altro, quindi non realmente necessaria a livello sanitario. Oppure qualcosa sta davvero sfuggendo di mano, visto che la materia viene rinviata a data da destinarsi e il Consiglio dei ministri focalizzato unicamente sul tema imposto come inderogabile da Bruxelles. Ecco l’endgame: l’Italia dipende dalla Bce. Cioé, dall’Europa. Totalmente. E l’inganno del governo Draghi come elemento di sovranità nello sviluppo della fase di ripresa economica pare destinato a svanire prima del previsto, in caso qualcosa facesse saltare il banco delle riforma Cartabia.
Nei giorni scorsi, il direttore del Fatto quotidiano, Marco Travaglio, è terminato nel mirino delle critiche per un attacco decisamente ingeneroso e volgare nei confronti del presidente del Consiglio, definito figlio di papà che capisce soltanto di finanza. Non è vero. Mario Draghi è un fuoriclasse. Ma un fuoriclasse dell’emergenza. Uno di quei giocatori dotati non di talento sopraffino o tecnica ineguagliabile ma di sangue freddo assoluto, l’uomo che metti in campo quando la palla scotta e tutti hanno paura di prendersi la responsabilità. D’altronde, lui è l’uomo del Whatever it takes. Concetto chiave del discorso pronunciato a Londra nel 2012, proprio in questo periodo: era il 26 luglio, per l’esattezza.
L’allora presidente Bce bloccò la speculazione che ancora scorrazzava libera lungo le praterie della crisi debitoria dell’eurozona, alzando il muro del Qe: gli spread non saranno più un problema, gli acquisti dell’Eurotower li terranno a bada. Non l’avesse fatto, l’eurozona (e forse l’euro) sarebbe implosa. C’è però un problema. Anzi, una conseguenza. Il classico effetto collaterale, figlio legittimo di quella scelta e alla base dell’interrogativo di Mohamed El-Erian. Lo mostrano questi due grafici,
Fonte: Blooomberg/Zerohedge
Fonte: Bloomberg/Zerohedge
assolutamente autonomi nel loro dipingere la realtà senza bisogno di commenti: il Qe non ha rappresentato una stagione emergenziale, è nato da essa ma poi è divenuto sistema. Manipolatorio, de facto. Insomma, la variante El-Erian.
Non a caso, la Borsa lo continua a festeggiare. In Europa come a Wall Street, poiché quel principio di onnipotenza e onnipresenza vale anche per la Fed. E lo ha festeggiato a suo modo anche Bitcoin, operando però in modalità contrarian: più i bilanci delle Banche centrali crescevano, più lo faceva anche lo status di bene rifugio alternativo della criptovaluta. Non un mezzo per speculare, bensì un hedging contro la perdita di valore intrinseco di valute stampate con il ciclostile per mantenere in vita un sistema uscito con le ossa rotte dal 2008 ma decisamente poco incline ai mea culpa e ai cambiamenti.
Mario Draghi teme questo, di fatto: il disvelamento del segreto inconfessabile di quella stagione di emergenza divenuta non solo normalità ma, paradossalmente, prodromo e origine di tutte le nuove crisi. Le quali, infatti, per essere evitate o contenute negli effetti oggi vengono di fatto depotenziate a colpi di emergenze continue, dalla guerra commerciale all’Isis fino al Covid. Ora, però, la fretta di quell’incontro Draghi-Salvini e il suo compromesso al ribasso sul green pass per le scuole potrebbero operare da agente rivelatore, da cartina di tornasole della prima seria crepa nella tenuta finora granitica della maggioranza. La variante El-Erian, ecco la vera emergenza: nascondere il più a lungo possibile il grado di dipendenza dell’Italia dalla Bce. E, di conseguenza, il grado esiziale di etero-direzione del governo da Bruxelles.
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