Le dure parole di Draghi verso Erdogan, le possibili ripercussioni in Libia di questo scontro tra Italia e Turchia e l’attivismo di Renzi all’estero: ne abbiamo parlato con Marco Carnelos, ex ambasciatore in Iraq.
Tra Italia e Turchia è sempre più gelo. Dopo le dure parole di Mario Draghi, che ha definito Erdogan un “dittatore di cui si ha bisogno”, è forte adesso il timore di ritorsioni da parte di Ankara.
Una sorta di “guerra” tra turchia e Italia, che potrebbe avere ripercussioni non solo nel campo economico, ma anche in quello geopolitico soprattutto considerando la delicata situazione in Libia.
In questo scenario più che complesso, chi può aiutarci a fare il punto della situazione è Marco Carnelos, attuale CEO di Mc Geopolicy srl e Consigliere di Tanto Capital Partners, in passato ambasciatore in Iraq e inviato Speciale per il Medio Oriente.
“Erdogan è un dittatore” è stata una uscita molto forte da parte di Mario Draghi. Si tratta di un attacco mirato e non casuale oppure è incappato in uno scivolone?
Vorrei sperare che si sia trattato di uno scivolone, anche perché nel primo caso sarebbe preoccupante e mi domanderei soprattutto cosa avrebbe da guadagnare l’Italia nell’assumere una posizione così assertiva verso la Turchia, un interlocutore cruciale per la stabilità del Mediterraneo e con il quale, volenti o nolenti, dobbiamo collaborare. Peraltro, la causa principale dell’uscita del nostro Premier è stato il trattamento riservato alla Presidente della Commissione Von Der Leyen nella sua recente visita in Turchia, ora è ormai del tutto acclarato che tale vicenda è stata più il risultato di un pasticcio interno all’UE tra il Protocollo del Presidente del Consiglio e quello della Presidente della Commissione piuttosto che una volontà misogina delle Autorità turche al contrario di quanto la maggioranza delle forze politiche e dei media europei hanno purtroppo frettolosamente manifestato con una sorta di incomprensibile riflesso pavloviano.
La reazione della Turchia sembrerebbe essere stata molto dura, ci saranno delle ripercussioni anche economiche oltre che politiche?
È stata certamente forte, come pure il termine utilizzato dal nostro Premier, poco consono ad una personalità sofisticata e di spessore come il Presidente Draghi. Rilevo che leaders di altri Paesi europei che con la Turchia hanno e hanno avuto relazioni ben più tese delle nostre, tipo Francia e Germania, non hanno mai usato espressioni analoghe che, peraltro, rifletterebbero una conoscenza non sufficientemente approfondita della complessa realtà politica del Paese. Dal punto di vista delle ripercussioni politiche, trovo confortante che finora - a quanto mi risulta - Erdogan non abbia reagito direttamente lasciando spazio ai suoi collaboratori e portavoce; quanto a quelle economiche affiorano segnali preoccupanti per importanti commesse già affidate a nostre imprese. L’interscambio tra Italia e Turchia vale diversi miliardi di € sarebbe un peccato aggiungere un ulteriore problema a qualche comparto della nostra economia già gravata dai drammatici danni determinati dalla pandemia.
In Libia intanto Erdogan potrebbe adesso tagliare fuori l’Italia
È questo l’aspetto più preoccupante. Il Presidente Draghi ha voluto lanciare un importante e condivisibile segnale compiendo la sua prima visita all’estero in Libia e con ciò rivendicare giustamente un ruolo primario per l’Italia nella stabilizzazione di questo Paese, per noi cruciale. Mi chiedo se sia possibile svolgere questo ruolo e contemporaneamente andare in rotta di collisione con i due più importanti players in questo stesso paese, ovvero antagonizzando eccessivamente – anche con un clamore mediatico ingiustificato - la Russia su una vicenda spionistica la cui portata è ancora tutta di stabilire e dando del dittatore ad Erdogan? Dubito che il nostro Premier pensi davvero di poter svolgere un ruolo costruttivo e soprattutto utile per l’Italia in Libia mantenendo relazioni tese con Turchia e Russia, che peraltro sono nostri importanti fornitori energetici e, quanto alla prima, anche una valvola cruciale nel controllare i flussi migratori verso l’Europa. Rilevo, infine, che dopo la visita del nostro Presidente Draghi a Tripoli, il suo omologo libico si è recato ad Ankara da Erdogan portandosi dietro 14 Ministri nonché il Capo di Stato Maggiore.
Con Biden alla Casa Bianca, cosa potrebbe cambiare per la politica estera dell’Italia nel Mediterraneo?
È ancora presto per trarre conclusioni. Le priorità della Casa Bianca, in questo momento, sembrano situarsi altrove: cambiamenti climatici, rilancio economico interno post-pandemia, Cina, Russia, Iran. Il Mediterraneo appare relegato in secondo piano. Certo l’Italia - approfittando della debolezza di Macron in Francia, della transizione tedesca verso il dopo Merkel, e di una Gran Bretagna con ambizioni globali neo-vittoriane nell’era post-Brexit - potrebbe provare a farsi rilasciare una delega/copertura da Washington per un’azione più incisiva in Libia. Ammesso che ci riesca, dovrà poi dimostrare di saperla portare avanti. Il nostro Premier, in questo momento, ha una statura superiore a quella del Paese che guida e quindi sussistono ottime premesse. Tuttavia, Draghi non può portarla a fondo efficacemente se il nostro Paese non gli va dietro e, purtroppo, come l’ultima decade della politica italiana verso la Libia dimostra, un Premier da solo, per quanto di riconosciuta competenza, è insufficiente.
Una battuta finale invece su Matteo Renzi, cosa ne pensa del suo attivismo in Medio Oriente?
Ho la sensazione che si tratti di un attivismo più imprenditoriale che politico, e che purtroppo persevera in un’analisi delle situazioni e di alcuni leader della regione avulsa dalla realtà, come confermato dalla tendenza del nostro ex Premier ad intravedere nel Principe della Corona saudita, Mohamed bin Salman, una figura illuminata e sul quale edificare un Medio Oriente pacifico, tollerante e prospero. Potrebbero essergli sfuggiti una serie di eventi destabilizzanti messi in atto in questi ultimi anni, mi limito a citare il più rilevante, ampiamente ascrivibile a Riad, la più grande catastrofe umanitaria che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare in questo momento, ovvero lo Yemen.
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