Fintech tra utopia e realtà: nascita ed evoluzione della tecnofinanza

Fintastico

15/05/2018

Rivoluzione ed evoluzione fintech: dai primi passi alle partnership con banche assicurazioni, l’utopia della tecnofinanza è oggi realtà (ma ha ancora tanta strada da fare).

Fintech tra utopia e realtà: nascita ed evoluzione della tecnofinanza

Utopia è una parola inventata da Thomas More nel 1516 per descrivere un’isola immaginaria che accoglie una società perfetta in tutte le sue possibili accezioni. Con il passare del tempo questa parola ha assunto un carattere ambivalente, con due grandi accezioni: in senso stretto, un’utopia è la “concezione immaginaria di una società ideale”. Nella lingua corrente, come sappiamo, un’utopia serve anche per definire un’idea irrealizzabile, alcuni suoi sinonimi sono “sogno”, “chimera” e spesso viene usata per definire qualcosa di assurdo.

Addentrandoci in ambito filosofico, l’utopia è l’espressione di un pensiero idealizzato, più o meno elaborato, sopra una società nuova, che ha come obiettivo quello di plasmare il tempo presente, la realtà che ci circonda e il contesto sociale nel momento in cui l’utopia viene sviluppata. La distanza che esiste tra quello che c’è e quello che ci dovrebbe essere all’interno di questa società nuova delimita i confini d’azione del pensiero utopico.

Secoli più tardi, se guardiamo alle origini del fintech, non possiamo non pensare a pura utopia. Per qualcuno il fintech non è mai nato ed è semplicemente un nuovo nome che viene utilizzato per definire il “vecchio” dipartimento ricerca e sviluppo all’interno delle banche. Personalmente faccio nascere il fintech con la crisi finanziaria del 2007-2008, crisi che ormai ci siamo lasciati alle spalle (?). È con questo evento storico di proporzioni ancora difficilmente comprensibili anche per gli addetti ai lavori che alcuni imprenditori “utopici” hanno visto un’interessante opportunità di mercato: la digitalizzazione della finanza tradizionale e del sistema bancario.

PayPal ha spianato la strada

Paypal è sicuramente stata un’impresa che ha anticipato i tempi, e non è un caso che un’altra corrente faccia nascere il fintech con la comparsa di Paypal sul mercato. A differenza delle fintech, però, Paypal non ha impostato fin da subito il suo rapporto con i clienti sulla trasparenza, ma solo su un uso più intelligente delle tecnologie più recenti e una migliore attenzione al cliente rispetto al canale bancario; due dei tre pilastri con i quali possiamo definire una soluzione fintech (il terzo è appunto la trasparenza, la capacità di mettere il cliente fin da subito a conoscenza della struttura dei costi senza sorprese posteriori o condizioni scritte in minuscolo). Tutto ciò le ha comunque permesso di diventare leader di mercato in un ambito che gli attori tradizionali avevano lasciato storicamente scoperto.

Con la crisi finanziaria nata all’interno del settore bancario e che ha portato a livelli di fiducia più bassi verso le istituzioni finanziarie tradizionali (almeno nei primi anni successivi alla crisi), si è assistito alla nascita e alla proliferazione di applicazioni e piattaforme verticali che non hanno la pretesa di seguire la vita del cliente finale in tutti gli aspetti finanziari (dai bonifici ai mutui, dai prestiti alle assicurazioni) come hanno da sempre fatto le banche pensando, forse stupidamente, di poter fare tutto, di saperlo fare bene e di poter fornire ai loro clienti un livello di soddisfazione elevato senza mai cambiare o innovare.

Passi in avanti, ma l’Italia è ancora (un po’) indietro

Dal 2008 al 2013, anno nel quale ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare nel settore fintech, ho visto un rapporto molto conflittuale tra le fintech e le banche. Le prime incolpavano solo le banche della crisi finanziaria e facevano leva sui sentimenti o, forse meglio, sui risentimenti che le banche suscitavano; le seconde non avevano nessuna intenzione di dialogare con le imprese fintech, le reputavano dei piccoli player nel mercato che non sarebbero mai stati in grado di rubargli importanti quote di mercato.

Mi sono laureato in sostenibilità ambientale con focus sulle energie rinnovabili presso la Vrije Universiteit di Amsterdam. Nonostante sia una città molto green e probabilmente la capitale europea della sostenibilità, i profili che cercavano in quel periodo erano solo neolaureati in finanza o informatica. Io non ero né uno né l’altro.

Cosa ci faccio in ambito fintech visto che ad un primo sguardo non ha niente a che vedere con la sostenibilità ambientale? In realtà entrambi partono dalla necessità che avvenga un cambio di paradigma all’interno della mente del consumatore finale. Come sappiamo, siamo purtroppo ancora troppo lontani dal vivere in una società attenta ai problemi ambientali o al cambio climatico. Allo stesso modo, la mancanza di un’educazione finanziaria diffusa e la nostra poca fiducia verso il prossimo, salvo che non sia un membro del nostro circolo famigliare, hanno rallentato la diffusione delle soluzioni fintech all’interno dell’economia italiana. L’uso diffuso delle stesse è invece avvenuto ed è a pieno regime ad altre latitudini e geografie non troppo lontane dalle nostre (Regno Unito e Spagna in primis).

Banche e fintech: il vero nemico non sono le startup

Da cinque anni a questa parte il rapporto tra banche e imprese fintech è man mano andato distendendosi, e le collaborazioni tra i due mondi sono oggi molte e variegate, soprattutto all’estero. Il nuovo “grande nemico” delle banche è stato individuato nei GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple), i colossi tecnologici che a differenza delle startup fintech hanno a disposizione elevati livelli di capitale sia umano che finanziario per mettere in difficoltà gli istituti di credito in caso di un ingresso nel mercato. In questa nuova fase banche e assicurazioni cercano di avvicinarsi al fintech e all’insurtech per scoprire quali soluzioni possono aiutarle a migliorare il proprio business ancora poco basato sul digitale e fortemente orientato al contatto personale e a luoghi fisici con orari di apertura.

Le criptovalute e la tecnologia blockchain hanno ormai “monopolizzato” anche i media mainstream, non si parla d’altro. La maggior parte delle persone che si avvicinano alle monete digitali pensano che investendo anche piccole quantità di denaro, in un periodo di tempo breve, diventeranno presto ricche o riusciranno ad ottenere quantità di denaro importanti. Di nuovo, prima di avvicinarsi a questo tipo di “innovazioni” bisognerebbe avere ben chiari i fondamentali dell’economia e una buona conoscenza dell’educazione finanziaria e di tutti i metodi e strumenti attualmente a disposizione per salvaguardare il proprio patrimonio finanziario. Le previsioni le lascio ad economisti molto più esperti di me, non ho la sfera di cristallo, ma sicuramente nel futuro continueremo a sentir parlare della tecnologia blockchain e sempre meno di criptovalute o presunte tali.

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