Dal 2000 al 2013, l’Italia ha versato al bilancio Ue 64,7 MILIARDI in più rispetto alle somme accreditate all’Italia dalla stessa Unione Europea.
Le politiche di austerità nazionale volte alla diminuzione del debito pubblico stanno distruggendo la “Domestic Demand” dell’Italia.
Il Dott. Mario Monti, in una intervista resa alla CNN, lo ammette candidamente.
Quella che il Dott. Mario Monti chiama “Domestic Demand”, statisticamente è la somma:
- della spesa per consumi finali;
- degli investimenti fissi lordi;
- della variazione delle scorte;
- delle acquisizioni meno cessioni di oggetti di valore.
Effettivamente, se andiamo a visionare il database AMECO ed interroghiamo la variabile “DOMESTIC DEMAND INCLUDING CHANGE IN INVENTORIES AT COSTANT PRICES” (at 2005 prices per l’esattezza), ovvero la “Domestic Demand” poc’anzi descritta, verifichiamo che è passata da 1.420,80 MILIARDI di euro a fine 2011 a 1.312,40 MILIARDI di euro a fine 2013; si tratta di 108,4 MILIARDI di euro in meno in due anni; non a caso il Dott. Mario Monti parla di DISTRUZIONE della “Domestic Demand”.
Il Dott. Mario Monti afferma che è necessario che vi sia una domanda “europea” che rilanci i consumi/investimenti in Italia.
Si sente spesso parlare dei fondi europei e soprattutto del fatto che il nostro Paese non li utilizzi bene, molto spesso si sente dire che li “spreca”.
Sarà vero? Possono effettivamente questi fondi rilanciare il nostro Pil?
Effettivamente a livello europeo esiste un bilancio Ue a cui contribuiscono i 28 Paesi (di cui 18 hanno adottato l’Euro).
Risulta evidente che, o i 28 Paesi conferiscono una somma uguale a quella che viene poi restituita loro dalla Ue (ma ciò avrebbe poco senso) OPPURE, se vi sono dei Paesi che ricevono dalla Ue più di quanto vi immettono, vi saranno dei Paesi che contribuiscono più di quanto ricevono.
I grafici di seguito riportati evidenziano, dal 2007 al 2013, la differenza tra quanto versato da ciascun Paese alla Ue e quanto percepito dalla stessa Ue.
Hanno come unità di misura i MILIONI di euro; attenzione che, essendo il mio PC impostato sulla lingua Inglese (Stati Uniti), la virgola che vedete nel grafico equivale al nostro punto. Per cui quando leggete 13virgola200 milioni di euro significa 13.200 milioni di euro ovvero 13,2 MILIARDI di euro.
Da questi grafici si evince in maniera inequivocabile che, mentre vi sono dei Paesi, come ad esempio la Polonia (sigla PL) che SISTEMATICAMENTE ricevono dalla UE più di quanto sia il loro contributo all’Ue, ve ne sono altri, come l’Italia (sigla IT) per cui vale esattamente la regola opposta.
Questa infatti è la Polonia (sigla PL):
e questa è l’Italia (sigla IT):
Quindi, quando sentite affermare dal “saccente” politico di turno (e non solo) che l’Italia non spende bene i soldi che l’Europa le dà, rilevo che viene sistematicamente omesso di rivelare che l’Italia è un “contribuente netto”, ovvero che dà all’Ue più di quanto riceve dalla stessa; e questo succede non perché l’Europa vorrebbe “inondarci” di fiumi di denaro a fondo perduto per rilanciare i nostri investimenti ma noi brutti, cattivi, puzzolenti e corrotti “ce li perdiamo per strada” e non utilizziamo tutti questi fondi piovuti dal cielo; non dico che quest’ultima informazione non sia in parte vera ma la realtà è che, in base alle regole di contribuzione al bilancio UE ed a quanto viene poi deciso in fase distributiva, l’Italia deve sistematicamente dare di più di quanto poi le torna indietro; che poi, quella parte che torna indietro non venga spesa bene (o comunque potrebbe essere stata spesa “meglio”), qui si apre un altro capitolo della vicenda; ma è fondamentale capire il primo passaggio; come si evince dai grafici, ovviamente non siamo gli unici ad essere sistematici “contribuenti netti” bensì lo sono anche la Germania, la Francia, l’Inghilterra, etc…
Ecco qui la Germania (sigla DE):
Ecco qui la Francia (sigla FR):
Ecco qui l’Inghilterra (sigla UK):
A pagina 44 del documento, reperibile online, «Flussi finanziari Italia-Unione Europea (anno 2013)» troviamo un grafico da cui si vede “la posizione netta dell’Italia con l’Ue anni 2000 – 2013”.
Nel capitolo 3.1 a pagina 42 del suddetto documento vi è scritto:
“La posizione netta di un Paese, secondo il metodo ‘Stato membro’ è determinata dalla differenza tra i movimenti in entrata (costituiti dalle somme accreditate corrisposte a fronte di interventi finanziati dall’Unione europea) ed i movimenti in uscita (ossia i versamenti effettuati da ogni Paese membro al bilancio comunitario)”.
Non vi è stato un solo anno in cui l’Italia non sia stata “contribuente netto” al bilancio Ue.
Se guardiamo gli importi la situazione è ancora più chiara:
anno 2000: meno 1.098,13 MILIONI di euro;
anno 2001: meno 3.730,55 MILIONI di euro;
anno 2002: meno 3.496,92 MILIONI di euro;
anno 2003: meno 2.253,15 MILIONI di euro;
anno 2004: meno 3.370,61 MILIONI di euro;
anno 2005: meno 4.298,13 MILIONI di euro;
anno 2006: meno 3.928,88 MILIONI di euro;
anno 2007: meno 3.715,19 MILIONI di euro;
anno 2008: meno 6.020,92 MILIONI di euro;
anno 2009: meno 7.225,68 MILIONI di euro;
anno 2010: meno 6.539,26 MILIONI di euro;
anno 2011: meno 7.570,40 MILIONI di euro;
anno 2012: meno 6.204,25 MILIONI di euro;
anno 2013: meno 5.246,83 MILIONI di euro.
Volete il totale? Ve lo scrivo in miliardi di euro: quasi 64,7 MILIARDI DI EURO.
Significa, lo ribadisco ancora una volta, che, dal 2000 al 2013 l’Italia ha versato al bilancio Ue 64,7 MILIARDI in più rispetto alle somme accreditate all’Italia dalla stessa Ue.
Senza contare che, nella contribuzione al bilancio Ue NON è compreso il “Sostegno finanziario ai paesi dell’UEM”. Dal grafico disponibile su “Supplementi al bollettino statistico – indicatori monetari e finanziari” pubblicato il 13/08/2014, si evince che dal 2010 fino alla data di pubblicazione del documento, la contribuzione è stato di circa 60 MILIARDI di euro che sono serviti per “aiutare” la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e Cipro.
Quindi quando vi domanderanno se i fondi europei sono degli strumenti utili per la crescita d’ora in avanti, per chi non l’avesse già compreso prima, la risposta è: “Non per la crescita dell’Italia”.
A cura di Michele Belluco
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