La vicenda narrata è tratta da una storia vera: i protagonisti di “Tutto il mio folle amore”, in onda su Rai1, si raccontano in prima persona.
Il film “Tutto il mio folle amore”, presentato fuori concorso alla 76esima Mostra internazionale del cinema di Venezia e trasmesso in prima serata su Rai1 il 1 dicembre 2021, è tratto da una toccante storia vera; quella di un viaggio padre e figlio lungo 3 mesi condotto tra Stati Uniti e Sud America. L’estremo realismo di cui la pellicola di Gabriele Salvatores è intriso insomma è dovuto alla natura stessa della narrazione.
Ma chi è che quindi ha realmente ispirato la scrittura di questo prodotto cinematografico? Willi e Vincent sono Franco e Andrea Antonello, i membri di una famiglia alla prese con una situazione piuttosto complicata da gestire.
Dietro le clip sognanti di questo lungometraggio si nasconde una biografica che ha ispirato anche un’opera letteraria edita da Marcos y Marcos: “Se ti abbraccio non aver paura” di Fulvio Ervas. L’opera in questione è uscita nel 2012 ed è stata libro dell’anno per Fahrenheit Rai Radio 3, nonché vincitrice del Premio Anima 2012 e del Premio Viadana (Giuria Giovani) nel 2013.
Prima di immergerci nella pellicola o tra le pagine di questa vicenda intricata e toccante però analizziamo insieme le principali differenze tra la realtà e la finzione con le sue varie trasposizioni dirette al grande pubblico.
“Tutto il mio folle amore”: una storia vera
Il film di Salvatores mette al centro di tutto il rapporto che si instaura tra un padre e un figlio a cui è stato diagnosticato un disturbo legato allo spettro autistico a soli 3 anni. I due scelgono di condurre un viaggio in motocicletta lungo ben 3 mesi tra le lande degli Stati Uniti e i paesaggi del Sud America, fino alle foreste del Guatemala.
Quest’esperienza nasce dalla necessità di Franco, padre del sedicenne Andrea, di offrire al figlio la possibilità di sentirsi libero e parallelamente divenire più autonomo. Il viaggio di Franco e Andrea però è solo una delle tante esperienze vissute insieme: è piuttosto l’espediente emblematico per tradurre la necessità di un cambiamento, di un unione da rinsaldare e della prospettiva di un domani diverso.
La difficoltà quotidiane nel raggiungere questo obiettivo però sono reali ed è proprio Franco Antonelli a raccontarle in un’intervista:
«La rabbia è vedere le persone che trattano loro come persone diverse. Lui è stimolato tutti i giorni da noi. Noi ogni giorno cerchiamo di fare un passo avanti, ma bisogna lavorare tutti i giorni perché con questi ragazzi ci vuole tanta attenzione».
Oggi però sappiamo che Andrea Antonello, che ha ormai 28 anni, è arrivato a quell’indipendenza che il padre sognava per lui. Vive da solo, lavora in un’associazione-fondazione insieme a suo padre e ha anche pubblicato un libro intitolato «La valigia Aran» che mostra ai lettori il mondo dal suo punto di vista.
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Libro e film a confronto: tutte le differenze
Nella trasposizione di una narrazione spesso però vengono adattati alcuni dettagli con finalità specifiche a seconda delle necessità autoriali dei registi e degli scrittori che offrono al pubblico la loro personale rielaborazione degli eventi.
La principale differenza che possiamo notare nel film, a differenza del libro e della storia vera, è che il viaggio è nei Balcani. Nella pellicola inoltre il padre si allontana con la sua moto e non si rende conto che suo figlio lo ha seguito infilandosi nel suo pick-up di soppiatto. Nella realtà però il viaggio è stato pienamente organizzato dal padre e dal figlio, insieme, per affrontare una nuova esperienza l’uno accanto all’altro. La cosa più importante insomma è il messaggio trasmesso che, nonostante questi dettagli, rimane invariato.
Ed è proprio grazie a questo che possiamo dire che non capita spesso di imbattersi in una vicenda cinematografica capace di narrare eventi così toccanti con quest’immediatezza; sarà forse la forza intrinseca della realtà a cui si ispira a renderla tanto speciale?
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