Primo calo dell’export in Giappone che è sintomo di un inefficacia della politica monetaria. La storia economica nipponica insegna che il QE non è sempre efficace.
Il primo declino dell’anno nell’export giapponese può rendere l’idea di come il Quantitative Easing e le politiche monetarie espansive non servano a niente senza delle riforme strutturali della produzione. La storia del Giappone può insegnare a capire cosa sta succedendo in Europa?
Giappone: dal boom del ’50-’75 all’inizio della crisi
Il primo declino dell’export giapponese è un indicatore di come le politiche espansive di un Governo possano rimanere fini a se stesse se non accompagnate da delle riforme strutturali.
Ripercorrendo la storia del Giappone, è possibile vedere come il Paese del Sol Levante abbia conosciuto un’espansione senza limite nel dopoguerra grazie a delle regole ferree che hanno permesso una crescita del PIL annuale tra gli anni ‘50 e ‘70 del 10%.
Queste regole prevedevano: bilancio statale e bilancia commerciale in pareggio, stretta sorveglianza del settore bancario, sviluppo dei settori ad alta produttività, stimolo della concorrenza interna tra aziende.
L’economia giapponese andò avanti a gonfie vele fino al 1975, anno in cui a causa di una crisi finanziaria mondiale, furono adottate delle misure economiche prese a prestito dall’Occidente.
Queste misure erano esattamente l’opposto di quelle adottate in precedenza con abbandono dei pareggi di bilancio, fusioni tra aziende e deregolamentazione delle banche. Tutto questo ha portato in linea di massima alla stagnazione economica di oggi.
Questo perché, grazie alla minor sorveglianza sul settore bancario, è stato permesso di creare bolle speculative generate da una grossa iniezione di liquidità derivante dal settore creditizio e monetario. Con il Nikkei che si rivalutò del 900% gli investitori e risparmiatori giapponesi, investirono tutti i profitti di Borsa nel settore immobiliare creando una bolla pronta ad esplodere.
Infatti, la BoJ si aspettava che aumentando la moneta circolante si stimolassero i consumi, sbagliando completamente le previsioni poiché l’aumento dei consumi di un Paese non genera un aumento della produttività.
Giappone: dalla crisi del 1990 al primo QE del 2001
Nel 1990 con la crisi petrolifera in ascesa, la BoJ dovette alzare i tassi di interesse facendo scoppiare la bolla di cui ancora oggi si sente il peso. Da quell’anno infatti, il Governo cominciò ad espandere il deficit ed aumentare il debito pubblico stampando sempre più moneta credendo di favorire l’export del Paese.
Infatti, nel Marzo 2001 cominciò il primo QE giapponese che finì nel 2006 dopo un aumento nei 5 anni del 60%. Un altro QE (relativamente meno forte) fu messo in campo nel 2010 per poi essere aumentato nel 2013 fino ad una possibile espansione dello stesso ai giorni d’oggi.
Questi QE al momento non hanno avuto grandi effetti sull’indice CPI, ciò che vuole fare la BoJ è incrementare le aspettative di inflazione pensando di stimolare i consumi. Inoltre, svalutando la moneta sta cercando di aumentare le esportazioni giapponesi che sono crollate dopo la tragedia di Fukushima.
Giappone: con QE e taglio tassi rischio di iperinflazione
La BoJ sta immettendo sempre più quote di debito pubblico (salito del 240% rispetto al PIL dal 1975 ad oggi) sotto forma di moneta e obbligazioni, finanziandosi in deficit (rapporto debito/introiti fiscali salito dell’800%) ed incrementando a livelli inimmaginabili il debito pubblico.
Il problema di una politica monetaria del genere è che, pensando di aumentare la massa monetaria del Paese pensando di aumentare i consumi e di conseguenza la produttività, rischia di innescare un’esplosione dell’inflazione che potrebbe mettere in seria difficoltà il Paese.
Infatti, quando avverrà l’esplosione dell’inflazione, i consumi scenderanno vertiginosamente, la produttività scenderà ulteriormente e gli investimenti usciranno dal Paese visto che chi possiede gli asset in Giappone li venderà. Tutto questo poterà il Giappone all’iperinflazione con conseguente crisi dello Yen.
Per riassumere, il Giappone sta insegnando come una politica monetaria espansiva basata sul deficit pubblico e senza un reale aiuto della produttività del Paese può causare un effetto iperinflazionistico che potrebbe mettere in ginocchio l’intero Paese e tutte le economie ad esso strettamente collegate.
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