Dalla crisi di Governo al Governo di Draghi: il caos scatenato da Matteo Renzi può davvero essere definito una vittoria per il leader di Italia Viva?
“Un governo Draghi - diceva ai suoi, giorni fa, il leader di IV Matteo Renzi - sarebbe un trionfo per me. Vincerei 3 a 0 fuori casa”.
Renzi, artefice di questa incomprensibile crisi - almeno nella forma, perché sulla sostanza è sembrata sacrosanta - si considera il vincitore della sua personale sfida contro Conte e il suo ex partito il Pd.
Difficile dare torto a questa tesi considerando la cosa dal punto di vista del senatore di Rignano. Fin dalla sua nascita questo governo, voluto fortissimamente proprio dall’ex rottamatore per impedire la probabile vittoria elettorale del centrodestra, è nato con una contraddizione di fondo, e cioè il fatto che due partiti diversissimi fra di loro per estrazione, ideali e personalità, che fino al giorno prima si accusavano a vicenda delle peggiori nefandezze, alla fine si fossero messi insieme per formare un governo. Fin dalle prime battute del nuovo esecutivo si è capito che alla lunga queste contraddizioni sarebbero emerse, rendendo difficoltosa l’azione del governo stesso.
Troppe differenze, troppi personalismi, troppi interessi di parte tenuti insieme dalla sola comune e pervicace volontà di non andare al voto e non rischiare di lasciare la maggioranza (e l’elezione del nuovo presidente della Repubblica) a Salvini e alle destre. E questo fatto già rappresenta un vulnus per la democrazia parlamentare, che è fondata proprio sulla massima espressione della volontà popolare, che si manifesta appunto con il voto. Vedere questa soluzione come il peggior pericolo o come il male da evitare a tutti costi determina uno scollamento pericoloso fra la classe politica e il popolo sovrano. La stessa crisi e come essa si è sviluppata ha sicuramente fornito motivi di discredito per tutta la classe politica, considerata sempre più distante dai problemi reali della gente, sempre più autoreferenziale e sicuramente più attenta alla gestione delle cariche e delle poltrone che a quella dei gravissimi problemi economici e sanitari che stanno sconvolgendo il paese.
A sentire il vicesegretario del Pd Andrea Orlando in realtà “Renzi ha sempre avuto intenzione di rompere perché è un uomo politico che ha un disegno per sfasciare il centrosinistra e anche il Pd, perché si sente stretto in questo quadro”. Questa ammissione dimostra plasticamente quanto detto, mostra come le stesse componenti politiche valutino l’operato di un collega. Sembra, infatti, di assistere ad un regolamento di conti, ad una guerra fra bande più che ad una normale attività politica, che dovrebbe avere come suo unico scopo quello di perseguire il bene comune della nazione che è chiamata a rappresentare. Avere idee diverse, infatti, non può trascendere nella bieca polemica o nel desiderio di annientare il proprio avversario. Un politico di vecchio corso, che siede sui banchi del Senato per Forza Italia, qualche giorno fa commentava che “l’ex segretario del Pd ha formato il governo nell’Agosto del 2019 non solo per fermare Salvini, ma anche per poter poi massacrare dal suo interno l’alleanza Pd e cinque stelle e compiere il suo disegno originario, che sarebbe appunto quello di svuotare il suo vecchio partito”.
Solo pensare una simile cosa dimostra quanto ormai la politica nostrana abbia al suo interno una discrasia con quello che dovrebbe essere il suo ruolo. Ed ecco allora che la mossa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ad alcuni apparsa disperata, di nominare Mario Draghi per formare un nuovo governo è la formale dimostrazione che la politica ha fallito in tutte le sue componenti. Il ricorso ad un tecnico per gestire questioni che dovrebbero essere di pertinenza dei politici è una particolarità tutta italiana, già provata più volte, con risultati in chiaroscuro, certifica che in qualche modo l’inadeguatezza della stessa a prendersi responsabilità che le competono. “Quando si ricorre ad un tecnico per risolvere problemi politici vuol dire che la politica ha sbagliato qualcosa e che non è in grado di fare le cose per cui è stato eletto e pagato dai cittadini”: queste le sferzanti parole di un senatore di Fdi, partito che considera il voto come unica via maestra per risolvere una situazione politica cosi complicata come quella attuale.
Secondo la leader dello stesso partito, Giorgia Meloni, occorre dire “basta ai giochi di palazzo, la parola torni agli italiani”. Già, gli italiani, coloro che stanno subendo oltre i danni economici e sanitari della pandemia, anche l’assurda pantomima di una politica che sembra sempre più distante dai loro problemi e che si arrovella su nomi, strategie e personalismi che forse risolveranno le loro difficoltà interne, ma che non possono che determinare un immobilismo deleterio per il paese di fronte ad una crisi epocale.
Le motivazioni che ha adotto Italia Viva a spiegazione della crisi, come confermato da quasi tutti i commentatori politici, sembravano in qualche misura condivisibili sia nel merito di alcuni importanti provvedimenti, come il Ristori, il Recovery Fund, la scuola, il piano vaccinale, e sia nella stessa composizione della squadra di governo. “Renzi non poteva, ai suoi occhi, continuare a vivacchiare a pandemia in corso e con una crisi economica devastante in corso, attendendo magari che il Pd raggiungesse i suoi obiettivi, e cioè mettere sul Colle un suo uomo ed intanto rafforzare l’alleanza strategica con un Movimento cinque Stelle, magari proprio a guida Conte, depurato della sua ala dura e pura, ancora presente anche se in minoranza”, dice un deputato di Italia Viva.
Ma alla fine le giuste argomentazioni si sono ridotte ad una squallida diatriba e a un balletto sulle poltrone e sugli equilibri all’interno dell’esecutivo. Ecco perché proprio per la credibilità della classe politica la soluzione migliore era quella di ricorrere alle urne, anche se la situazione sicuramente è assai delicata, e non facile, per ridare alla stessa politica una opportunità di rivalsa e di avere dal popolo sovrano una investitura al fine di dimostrare di essere in grado di svolgere il suo diritto e dovere, che sarebbe quello di governare. Così invece si decide a priori che questa politica non è in grado di farlo e perciò si chiede aiuto ad una personalità, sicuramente di altissimo profilo, ma che ha sempre fatto altro e per sua stessa ammissione e volontà non ha mai voluto misurarsi con la politica. Il legittimo incarico a Draghi, da parte di un presidente della Repubblica che è parso così come gli italiani assai irritato e spaesato di fronte a quanto accaduto, rende il re nudo e mette la politica all’angolo.
Un eventuale fallimento di Draghi nel formare un nuovo esecutivo (cosa che, alla luce delle dichiarazioni di molti politici, è tutt’altro che improbabile) porterebbe comunque il paese alle urne, ma con un discredito tale a livello internazionale e con probabili conseguenti pesanti ricadute sulla situazione dei conti pubblici e sul piano di aiuti europei, che sarebbe in grado di creare una situazione catastrofica per qualsiasi successivo esecutivo politico. La vera crisi non è perciò tanto quella del governo Conte, le cui colpe e mancanze di questi mesi sono sotto gli occhi di tutti, ma di una intera classe politica, che di fronte alle proprie responsabilità ha mostrato tutti i suoi enormi limiti.
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