Sebbene abbia dichiarato di non volersi candidare nuovamente alle presidenziali, Hillary Clinton ha anche spiegato che «non abbandonerà mai il gioco della politica».
Il 2022 è un anno elettorale, destinato a cambiare l’equilibrio di potere quando si apriranno, a inizio novembre, le urne del voto di medio termine, che rinnova il 100% della Camera e un terzo del Senato (i deputati stanno in carica due anni, i senatori sei). Il Congresso, oggi controllato interamente dai Democratici, è destinato al ribaltone. L’incertezza è soltanto se sarà totale, ossia con le maggioranze di Camera e Senato conquistate dal partito Repubblicano, oppure parziale, con la sola vittoria del GOP alla Camera che viene data per scontata dai sondaggi e dai commentatori di ogni colore. Ciò basterebbe a bloccare anche numericamente l’agenda di Joe Biden, il cui partito non avrà più la maggioranza in entrambi i rami di cui gode oggi.
Peraltro, l’affossamento recente del piano di welfare da quasi 2mila miliardi dovuto al no esplicito del senatore DEM moderato della West Virginia Joe Manchin ha mostrato che l’agenda radicale di Biden è già paralizzata dal braccio di ferro tra la sinistra progressista del partito, guidata dalla deputata Alexandra Ocasio-Cortez e dal senatore Bernie Sanders, e la componente dei Democratici moderati sempre più insofferenti della deriva estremista.
Persino Hillary Clinton è riemersa dal buio mediatico in cui macera dalla sconfitta mai ammessa del 2016, e in una recente intervista domenicale al Today Show della NBC ha calato un asso sul tavolo della politica, attaccando direttamente Trump e lanciando un SOS ai suoi compagni di partito.
La Clinton, battuta da Obama in casa nel 2008 e da Trump in trasferta nel 2016, coltiva quindi il delirio di un ritorno sulla scena? Hillary ha detto qualche settimana fa che non correrà per una carica, ma ha aggiunto “non lascerò mai il gioco della politica”. L’uscita ha generato svariati articoli di commento, da The Hill al DailyWire alla National Review, tutti a speculare sulle vere intenzioni. Magari la sua effettiva ri-discesa in campo non ci sarà, ma di sicuro è il sintomo del vuoto di prospettive solide e credibili, per i Democratici, quando pensano al dopo Biden nel 2024.
“Se fossi una persona che ama fare scommesse, oggi come oggi direi che Trump corre ancora. Penso che potrebbe essere la fine della nostra democrazia”, ha detto Hillary nell’intervista. “Non per essere troppo brutale, ma voglio che la gente capisca che questo potrebbe essere un bivio tra il fare e il distruggere. Se lui o qualcuno del suo genere fosse ancora una volta eletto presidente, specialmente se avesse dietro il Congresso a sostenerlo, non riconoscereste più il nostro Paese”.
Il tono da ultima spiaggia è un classico delle ultime battute di una campagna elettorale, ma che la Clinton l’abbia sparato in tv quando manca quasi un anno al voto per rinnovare il Congresso e tre anni alla sfida presidenziale, tradisce una urgenza sospetta di intromettersi nella partita. E Biden ha colto il messaggio obliquo, facendo ribadire alla propria portavoce, dopo l’intervista della Clinton, che “il presidente ha tutte le intenzioni di presentarsi per la rielezione”.
Hillary ha la stessa sete di vendetta contro Trump, che Trump ha verso Biden. A parte questo tratto psicologico che li accomuna, ne hanno un altro che in politica pesa moltissimo: il riconoscimento del nome. Certo, l’essere famosissimi non significa essere apprezzati, ma è una condizione indispensabile per partecipare. E forse è questo vantaggio che sta convincendo la Clinton a uscire dal letargo e a rinfrescare il brand. Da usare, se ce ne sarà l’occasione. Oltre a vedere che il presidente è svantaggiato per l’età (79 anni contro i suoi 74), e che la vicepresidente Kamala Harris ha un rating di stima ben sotto il 30% e non riesce neppure a farsi sostenere seriamente dai giornali e dalle tv amiche, Hillary sta godendosi la sostanziale palude di popolarità in cui galleggiano i nomi della ‘nuova’ generazione di possibili leader Democratici. Nessuno, tra quelli dell’establishment che ha sostenuto Biden, ha mostrato finora di avere la statura per crescere. Anzi, chi era stato ringraziato da Biden con una carica di governo, come Pete Buttigieg ministro dei Trasporti, è stato travolto dalla crisi dei porti, e dai blocchi nella catena distributiva.
The Hill, sito filo Democratico, citando un sondaggio recentissimo di Morning Consult che simula una ipotetica primaria del partito, ha stilato una squadra dei probabili candidati, se Biden rinunciasse volente o nolente. Al primo posto c’è la ovvia vice Kamala Harris, che raccoglie meno di un democratico su tre (31%), davanti a Buttigieg (11%), alla senatrice Elizabeth Warren e alla deputata Alexandra Ocasio-Cortez (appaiate all’8%). Seguono il senatore nero Cory Booker (5%) e la senatrice Amy Klobuchar (3%). Eccetto la Ocasio-Cortez, che non aveva l’età nel 2020 ma potrà partecipare nel 2024, sono tutti ex candidati della precedente tornata tra gli sfidanti per la nomination, via via costretti a lasciare per carenza di consensi e di carisma vincente.
La presenza tra i primi quattro delle due pasionarie liberal (Warren e Cortez), con percentuali significative, anticipa che il partito DEM vivrà un bis del conflitto tra sinistra dura e sinistra soft che quasi condusse Bernie Sanders alla vittoria. Allora l’establishment “inventò” Biden, vice di Obama e con tre decenni di Congresso alle spalle, per fermare l’onda socialista interna. Tocca ora alla navigata Hillary, ex First Lady ed ex senatrice, salvare il partito dagli ultrasinistri?
“Penso sia l’ora di fare qualche attenta riflessione su che cosa fa vincere le elezioni, e non solo nei distretti profondamente blu dove un democratico o un liberal democratico, o cosiddetto progressista vincerà di sicuro”, ha detto Hillary in un’altra intervista alla MSNBC. Con chiara allusione al rischio del partito DEM di perdere seggi e il controllo del Congresso a novembre, se presenta candidati radicali che non avranno i voti degli indipendenti e dei moderati. Il suo calcolo e’ questo, e le ha fatto avere i complimenti da uno stratega di rango, che di campagne presidenziali ne ha vinte due. “Hillary ha assolutamente ragione a mettere in guardia i Democratici contro la fuga a sinistra dei loro candidati”, ha sentenziato su Fox News l’ex braccio destro di George W. Bush, Karl Rove. Ridendo sotto i baffi, aggiungo io, perché nessuno ascolterà la Clinton. Ma se anche le riuscisse di tornare in auge, sarebbe la candidata ideale da battere, per i repubblicani.
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