Il Presidente Joe Biden ha fretta, mancano 16 mesi al voto di medio termine e potrebbero essere gli ultimi per trasformare l’America e portare avanti l’agenda DEM.
Mancano 16 mesi al voto di medio termine per il rinnovo della intera Camera e di un terzo del Senato, e il partito del presidente Biden sa che potrebbero essere gli ultimi da sfruttare per trasformare l’America in un paese socialdemocratico alla europea, se non proprio in un paese socialista- marxista.
Questo, del resto, è il piano esplicito del senatore Bernie Sanders e della deputata Alexandra Ocasio-Cortez, i due leader della corrente di pensiero radicale che sta diventando mainstream in quello stesso partito Democratico dei J.F. Kennedy e dei Bill Clinton (in questo caso, dopo che il GOP prese il controllo della Camera con Newt Gingrich Speaker).
Perché il Presidente Biden ha fretta
A rendere urgente la corsa al maggior numero possibile di successi legislativi per Biden è la prospettiva, che per molti è una certezza, che le urne di novembre 2022 produrranno il ribaltone in Congresso: il GOP controllerà come minimo la Camera, se non anche il Senato.
I Democratici, si sa, hanno molti obiettivi: dal piano faraonico di finanziamento di nuove infrastrutture alla riforma federale delle norme elettorali, che finora sono state di pertinenza squisitamente statale; dalla creazione di nuovi istituti di welfare per le famiglie - gratuità dell’istruzione dagli asili nido alle università - alla copertura federale dei giorni di malattia; da nuove leggi restrittive del secondo emendamento della Costituzione (che prevede il diritto ad avere un’arma) all’abbassamento a 55 anni dell’età per godere del sistema di mutua pubblica ora riconosciuta a chi ne ha 65.
Per la prima di queste partite, il programma delle spese da 1000-2000 miliardi per ammodernare strade, ponti, porti, reti digitali, alcuni senatori moderati di entrambi i partiti stanno tentando un compromesso. Potrebbe essere la prima vittoria legislativa per Biden, che sa bene il significato politico positivo, per la sua presidenza, di firmare una legge con un sostegno bipartisan. Per incassarla, deve riuscire però a navigare tra due forze in conflitto.
Da una parte c’è l’ala progressista-massimalista del partito Democratico, che vuole tutto e subito e spinge perché l’agenda radicale dei DEM sia realizzata, anche senza alcun voto repubblicano, ricorrendo a procedure che annullino l’ostruzionismo, legale, del GOP.
Dall’altra c’è il tempo che corre. Oggi i DEM hanno una minuscola maggioranza alla Camera e un pareggio 50-50 al Senato, che per regolamento può essere rotto, in caso di stallo, dalla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris in quanto presidente del Senato.
Cosa potrebbe cambiare per i DEM?
Biden, in sostanza, può contare su 16 mesi di potere del suo partito, seppure precario, mentre il futuro congressuale gioca contro di lui. Lo dicono i numeri.
I DEM avevano una maggioranza di 232 deputati contro 197 Repubblicani prima del voto del novembre 2020, che l’ha ridotta a 222 contro 213. Basterebbe al GOP strappare 5 seggi netti ai DEM per spodestare l’attuale Speaker Nancy Pelosi e insediare al suo posto un repubblicano, che detterebbe il nuovo calendario legislativo per il biennio 2023-2024 annullando i sogni liberal di una America socialdemocratica e tanto meno marxista.
Ci sono almeno due fattori che favoriscono un esito pro GOP, uno oggettivo e uno “di tradizione”. Il primo è la ristrutturazione dei distretti elettorali. È un fatto che, nel novembre 2020, pur incassando la sconfitta di Trump per la Casa Bianca, i repubblicani sono andati bene alle elezioni per le 86 camere legislative, nei 44 Stati in cui era previsto il rinnovo. Ora il GOP controlla 60 camere legislative locali (ne aveva 58) e i DEM ne hanno 38 (ne avevano 40). E ancora. Considerando i governatorati, gli Stati in cui il GOP ha un suo governatore, e insieme il controllo di entrambi i rami legislativi, sono 21. I DEM ne hanno 15.
Ogni governo statale ha il potere di disegnare i contorni dei distretti per le elezioni, creando situazioni di elettorato a proprio vantaggio. Entrambi i partiti lo fanno da sempre, e chi controlla le leve per definire amministrativamente più distretti guadagna più deputati. Non bastasse, con l’ultimo censimento alcuni Stati rossi hanno conquistato il diritto a più deputati, grazie all’aumento della loro popolazione, mentre alcuni Stati blu hanno perso distretti, e relativi deputati.
Anche la tradizione, infine, gioca in questa tornata a favore del GOP. Gli analisti politici lo chiamano il “differenziale della partecipazione al voto”, e consiste in questo: gli iscritti al partito che ha il controllo della Casa Bianca (in questo caso i Democratici che hanno Biden) tendono ad essere meno interessati a recarsi alle urne degli iscritti e dei simpatizzanti del partito escluso dalla Casa Bianca (in questo caso i Repubblicani).
È stato così in passato, con rarissime eccezioni. L’ultima fu George W.Bush, che vide aumentare i deputati del GOP alle elezioni di medio termine del 2002, ma fu dopo l’11 settembre 2001 che diede enorme popolarità a W. Bush. Sia Obama sia Trump, invece, hanno perso decine di deputati del proprio partito, nel 2010 e nel 2018 rispettivamente, e con quei due esiti negativi persero lo Speaker del proprio partito. In entrambi i casi, avere anche un solo ramo del parlamento contro, ha significato per i due presidenti lo stop alla loro agenda politica.
Ecco perché Biden ha una grande fretta.
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