È stato stipulato l’accordo tra ArcelorMittal e i commissari dell’ex Ilva che mette fine alle vicende giudiziarie dando il via al rilancio dello stabilimento di Taranto
Arriva la conferma della firma dell’accordo tra Arcelormittal e i commissari Ilva che prevede la modifica del contratto d’affitto e acquisizione volto al rinnovamento del polo siderurgico di Taranto, oltre che la cancellazione della causa civile di Milano.
Gli accordi, nello specifico, sono stati due e la loro sottoscrizione è avvenuta nello studio del notaio Pier Gaetano Marchetti.
Con la loro stipula dovrebbe dunque concludersi la vicenda giudiziaria iniziata a novembre e dovrebbe invece partire il rilancio del polo siderurgico attraverso un nuovo piano industriale.
Cosa prevede l’accordo stipulato tra ArcelorMittal e i commissari dell’ex Ilva
L’accordo stipulato tra le due parti punta a realizzare entro il 2025 gli obiettivi stabiliti dal Green New Deal europeo. L’istanza prevede infatti l’impiego di nuove tecnologie con un minor impatto ambientale, mediante l’utilizzo di acciaio preridotto, la realizzazione di un forno elettrico e una graduale decarbonizzazione dell’impianto con una conseguente riduzione delle emissioni nocive.
Nello specifico il nuovo piano industriale della durata quinquennale (2020-2025) prevede una produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio e il mantenimento di 10.700 risorse impiegate nello stabilimento. Previsto anche il rifacimento dell’Altoforno 5 e la realizzazione dell’Aia.
ArcelorMittal si impegnerà a ridurre del 30% l’utilizzo di carbone e a rivedere gli impianti dello stabilimento di Taranto, mentre saranno inoltre utilizzate nuove tecnologie più green come il forno elettrico e il preridotto che prevedono l’utilizzo di idrogeno.
L’azienda franco-indiana, all’interno del cui capitale dovrebbero entrare anche lo Stato e le banche creditrici di AmItalia, sarà chiamata a gestire tutti i rami dell’azienda a partire dal prossimo 1 gennaio 2021. Dopo la sottoscrizione, i commissari dell’ex Ilva e ArcelorMittal affronteranno ciascuno il 50% dei costi per “l’attuazione delle prescrizioni ancora non adempiute relative all’altoforno 2, entro il termine previsto dall’ordinanza del Tribunale del Riesame di Taranto” e per i lavori volti ad “assicurare che gli altiforni 1 e 4 siano conformi alle prescrizioni disposte dalla Procura della Repubblica per l’altoforno 2”.
Cosa accade in caso di recesso del contratto?
I Mittal avranno diritto di recedere mediante una comunicazione da inviare entro il 31 dicembre 2021, o entro il 30 novembre 2020 in caso di mancata sottoscrizione del nuovo contratto di investimento.
“A pena di inefficacia dell’esercizio del diritto di recesso”, AM InvestCo dovrà versare ad Ilva “una caparra penitenziale di 500 milioni di euro” ossia i canoni che avrebbero dovuto corrispondere entro agosto 2023.
AM si impegnerà anche ad impiegare 10.700 dipendenti al fine di raggiungere i piani prefissati nel piano industriale 2020-2025, come previsto dall’istanza consegnata al Mise, in cui viene anche indicata la data del 31 maggio 2020 come giorno ultimo per trovare un accordo con i sindacati che non si dicono soddisfatti.
I sindacati si oppongono al nuovo accordo
I sindacati non sono soddisfatti del nuovo accordo stipulato tra le due parti in quanto sostengono di non essere stati presi in causa durante la stipula del negoziato avvenuto lo scorso novembre.
«Alla luce dei contenuti appresi riteniamo assolutamente non chiara la strategia del Governo in merito al risanamento ambientale, alle prospettive industriali e occupazionali del gruppo. A questa incertezza si somma una totale incognita sulla volontà dei soggetti investitori, a partire da Arcelor Mittal, riguardo il loro impegno finanziario nella nuova compagine societaria che costituirà la nuova AMinvestco».
Nelle note dei sindacati si evidenzia anche che l’intesa siglata tra le parti prevede uno stallo per tutto l’anno 2020 che si somma agli scorsi due anni. L’accordo contempla inoltre un aumento dei lavoratori in cassa integrazione. Inoltre viene fatto notare che l’assetto complessivo ha un elevato rischio di essere insostenibile data la scarsa verticalizzazione produttiva.
Francesca Re David della FIOM ribadisce che non devono esserci esuberi e incalza lo Stato a garantire una piena occupazione dei dipendenti.
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