Plusvalenza derivante da operazione immobiliare e parallela cessione di mobili destinati all’arredamento dell’abitazione oggetto di compravendita: ecco cosa non fare. Di Paolo Gervasi.
Nella puntata delle guida controescapologia di oggi il Dottor Paolo Gervasi, commercialista a Savona, ci spiega l’arcano mistero che sta dietro alle compravendite di immobili e mobili gestite e/o consigliate da persone che di fisco sanno (o dimostrano) di sapere ben poco...
SEGRETO
“In questo segreto si spiega come l’Imprenditore disinibito (che risponde al nome di Giovanni) può abbattere la plusvalenza derivante da operazione immobiliare e realizzare denaro “dark grey” effettuando una parallela cessione di mobili destinati all’arredamento dell’abitazione oggetto di compravendita, acquistati ad un prezzo e rivenduti ad un prezzo pari ad un decimo di quello di acquisto. In sostanza a latere dell’operazione di compravendita immobiliare viene stipulato un addendum (dire “scrittura privata” pareva brutto) fra società immobiliare (il cui oggetto sociale è opportunamente adeguato alla bisogna comprendendo anche la voce “arredamento e/o home staging”) e compratore privato avente per oggetto la cessione dell’immobile comprensivo del mobilio scelto dal privato ma fatturato alla società immobiliare che lo registra fra i costi e si detrae l’IVA. Il privato pagherebbe in contanti alla società l’imponibile (risparmiando l’IVA) e per chiudere il cerchio la società, facendo fede al famoso addendum di cui sopra, cederebbe - a compravendita immobiliare avvenuta - l’arredamento ad un prezzo pari ad un decimo di quello di acquisto. Pezze di appoggio dell’operazione: addendum fra società e compratore, fatture di acquisto e vendita mobili opportunamente redatte con la dicitura “mobili a misura”( in modo tale che “l’agenzia non possa stabilire il reale valore di tali beni”), pagamento frazionato in contanti della fattura di vendita finale (con pagamenti sotto soglia rispetto al vecchio limite di 1000 euro)”.
COMMENTO
Anche questo segreto è da annoverare fra quelli suggeriti dall’ennesimo imprenditore “disinibito”. Di suo il nostro escapologo ci mette il dato statistico rappresentato da quel “97% di rogiti notarili che riportano il valore reale dell’immobile”.
Il 97% è una percentuale assai ricorrente nelle affermazioni del suddetto (Se invece parliamo di errori veri e propri, quelli tra i più frequenti sono legati all’accettazione incondizionata delle cartelle di pagamento Equitalia……..nel 97% dei casi, la cartella è viziata ed in giudizio i miei legali sanno come vincere…facendomi pagare 0.”)
Tralascio volutamente per esigenze di brevità questioni di “congruità” dell’oggetto sociale con l’attività effettivamente svolta (questioni che saranno oggetto di altro capitolo) nonché questioni legate al trattamento Iva dell’operazione immobiliare i cui risvolti (leggasi pro-rata) potrebbero avere conseguenze negative sulla detraibilità dell’Iva pagata sull’acquisto di mobili “abbinati” all’immobile abitativo.
Con riferimento al segreto, è evidente che le cosiddette “pezze di appoggio proposte” permettono chiaramente di identificare (per la gioia dei verificatori ) due differenti operazioni relative a due differenti attività: quella relativa alla compravendita di beni immobili e quella relativa alla vendita di mobili per arredamento.
Con riferimento a questo secondo aspetto l’operazione (“casualmente” collegata alla prima) fornisce paradossalmente tutte le pezze d’appoggio (fattura di acquisto mobili, fattura cessione mobili, addendum con data coincidente con quella del preliminare) per lasciare il campo aperto a possibili e plausibili (in caso di controllo) censure in merito all’antieconomicità della stessa, con conseguente accertamento di evasione da sotto fatturazione. Qualsiasi verificatore dotato di un minimo di capacità e di buon senso chiederebbe spiegazioni in merito alla evidente disparità fra costo di acquisto e prezzo di vendita (pari ad un decimo del costo di acquisto come suggerito) e non si fermerebbe di fronte alla ipotetica difficoltà rappresentata dalla descrizione sommaria in fattura di cessione di “mobili su misura”. Da lì all’accertamento induttivo (magari supportato dall’invio di questionari ad hoc sia al mobilificio che al cliente privato) soprattutto in presenza di più operazioni di tal genere (che verosimilmente un imprenditore disinibito non avrebbe alcun problema a porre in essere) il passo sarebbe breve.
Ricordiamo che in ordine a operazioni considerate antieconomiche le contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate risultano assai frequenti. La produzione giurisprudenziale in materia è imponente e richiederebbe un trattato a parte.
Una per tutte cito la Sentenza di Cassazione n. 1821 del 2001, una tra le prime pronunce in tema all’interno della quale, per quel che concerne le imposte sui redditi, si individuano i seguenti precetti:
a) legittimità dell’accertamento analitico induttivo ex art. 39 co 1 lett d dpr 600/73 in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia;
b) la regola alla quale si ispira chiunque svolga un’attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni. Pertanto in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua differente giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una differente realtà.
Al riguardo appare opportuno sottolineare che, in materia di riparto dell’onere della prova, in presenza di comportamenti antieconomici incombe sul contribuente l’onere di provare la logicità ed economicità del proprio comportamento, così come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione sentenze n. 4554 e 4559 del 25.02.2010).
Nel nostro caso, poiché ci troviamo un presenza di un imprenditore cosiddetto “disinibito” e come tale propenso ad adottare “n” volte tale tipo di comportamento, dubito che gli sarà alquanto difficile trovare “n” volte adeguata e razionale spiegazione a fronte di “n” comportamenti “apparentemente” antieconomici.
Infine inutile (anzi è utile ) ricordare che in merito al consiglio sul pagamento frazionato la soglia cui riferisce l’escapologo è stata rivista dalla legge di stabilità 2016 (comma 511) che ha modificato il comma 1 dell’articolo 49 del D. Lgs. 231/2007 innalzando tale limite da 999,00 a 2.999,00, fermo restando il divieto dei “pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati”.
È evidente che il successo di tale segreto non è insito nel segreto stesso (per i motivi suesposti) bensì è legato all’alea, vale a dire alla fortuna di non subire accertamenti da parte dell’imprenditore “disinibito” e disposto ad accettare il rischio e ad assumersene le conseguenze!
È evidente che il tuo commercialista non ti consiglierà mai di porre in essere operazioni antieconomiche e che possono esporti a censure da parte dell’amministrazione cosi come non ti consiglierà mai comportamenti in violazione di norme in materia di antiriciclaggio!
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