L’imposta di registro non è dovuta se l’operazione è esente IVA: ad affermarlo ci ha pensato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24268/2015. Ecco i punti principali.
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 24268/2015 l’imposta di registro non è dovuta se l’operazione cui si riferisce è esente IVA.
La sentenza in oggetto interviene su un punto molto complesso della normativa tributaria ovvero il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro.
Ecco i punti principali della sentenza della Consulta in materia di alternatività fra IVA e imposta di registro e gli effetti che essa potrà produrre.
Operazioni esenti IVA escluse dall’imposta di registro: il fatto
La vicenda che ha portato alla sentenza numero 24268 del 27 novembre 2015 parte dalla notifica, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di un avviso di liquidazione ad una società di capitali contenente l’omessa registrazione di un contratto di finanziamento infruttifero ricevuto da una società controllante.
L’Agenzia delle Entrate pretendeva il versamento dell’imposta di registro al 3%, il bollo e le sanzioni e gli interessi relativi al mancato versamento.
Operazioni esenti IVA escluse dall’imposta di registro: il parere dei giudici tributari
La società di capitali in oggetto decide quindi di impugnare il provvedimento di fronte ai giudici tributari.
La difesa si è basata sul fatto che il contratto, poiché tassabile solo in caso d’uso essendosi formato per corrispondenza, è soggetto ad imposta in misura fissa.
Entrambi i collegi di primo e secondo grando hanno però dato torto a questa interpretazione, confermando la legittimità della pretesa da parte dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare, la sentenza di appello contestava al contribuente l’assenza di prova sul perfezionamento per corrispondenza del contratto.
Non veniva però rilevato alcun elemento in ordine alla correlazione tra imposta di registro (in misura fissa ovvero variabile) e esenzione IVA dell’operazione considerata.
Operanzioni esenti IVA escluse dall’imposta di registro: la sentenza della Cassazione
Dopo le due sconfitte giudiziarie in primo e secondo grado, la società ricorrente decide quindi di presentare ricorso in Cassazione, adducendo un vizio di motivazione nella sentenza d’appello.
La Corte di Cassazione ha quindi accolto il ricorso della società, ancorché per motivazioni differenti rispetto a quelle indicate dal contribuente medesimo.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato come nella sentenza di appello sia stata confermata l’applicazione dell’imposta di registro poiché si trattava di un’operazione non rilevante ai fini IVA.
Ciò non è corretto, secondo la sentenza della cassazione, per due ordini di motivi:
- i prestiti di denaro (vedi articolo 3, secondo comma, punto n. 3 del Dpr 633/1972) sono esenti da Iva quando possono essere considerati operazioni di finanziamento in applicazione del successivo articolo 10, numero 1, dello stesso decreto IVA. Da ciò consegue che tali operazioni, anche se in astratto, devono essere considerate soggette a Iva (per un approfondimento pratico sul tema delle operazioni in esenzione IVA vedi «Esenzione IVA articolo 10: esempi e normativa di riferimento»);
- la normativa in materia di imposta di registro (vedi d.p.r. 131/1986) prevede il principio di alternatività tra le due imposte: non devono, infatti, versare l’imposta di registro proporzionale le operazioni soggette all’Iva, includendo tra queste anche le operazioni esenti IVA articolo 10. Viene così affermato il principio per cui, in funzione dell’alternatività tra Iva e imposta di registro, gli atti soggetti agli adempimenti IVA, anche solo formali poiché esenti Iva, non devono scontare l’imposta di registro in misura proporzionale.
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