Abbiamo intervistato Claudio Borghi Aquilini, economista, editorialista e Professore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Economia degli Intermediari Finanziari, Economia delle Aziende di Credito ed Economia e Mercato dell’Arte.
Dopo essersi laureato in Scienze Economiche e Bancarie all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha vinto i premi «Associazione Studi di Banca e Borsa» e l’importante premio «Agostino Gemelli», consegnato al migliore laureato del proprio corso di laurea.
Da Gennaio, è in pubblicazione il libro del Prof. Borghi dal titolo «Investire nell’arte», per Sperling & Kupfer e con prefazione di Francesco Micheli; libro in cui Borghi mostra come, nel bel mezzo della crisi, sia possibile investire con saggezza nel mercato dell’arte, un settore in costante crescita e che presenta numerosi vantaggi fiscali.
Ecco qui di seguito l’intervista che abbiamo realizzato con l’economista di Milano sulle più recenti vicende economiche e politiche che ci circondano.
1) Uscita dall’euro: l’argomento è sulla bocca di tutti ormai. Oltre a volerle chiedere se si tratta di una possibilità concreta e della quale si potrà davvero iniziare a discutere dal punto di vista pratico nel prossimo futuro, quanto questo potrebbe essere conveniente per il nostro paese in particolare?
R. Mi fa piacere che l’argomento sia “sulla bocca di tutti” perché quando qualche tempo fa io (insieme a pochi altri) sollevai il problema fui accolto come un originale visionario. Il tempo evidentemente mi sta dando ragione e temo me la darà anche con la previsione che dall’euro usciremo tardi e nel peggior modo possibile. A mio parere la futura uscita dell’Italia dall’euro si tratta di una certezza, non di una “possibilità concreta” perché le alternative (unione totale europea con messa in comune del debito e trasferimenti interni di denaro tipo nord/sud Italia) non sono realisticamente possibili.
I vantaggi per l’Italia sarebbero molteplici ma ne indico solo uno: avere un tasso di cambio corretto per la nostra economia. In questo momento abbiamo una moneta troppo forte rispetto a quanto sarebbe corretto avere e questa “forza” in realtà è un peso insopportabile per le nostre imprese che si somma alle nostre già notevoli inefficienze statali. Se supponiamo che uscendo dall’Euro la nuova moneta italiana svaluterebbe ad esempio del 25% rispetto all’Euro ciò significa semplicemente che un prodotto italiano parte con un handicap di pari proporzione rispetto a quello che sarebbe il prezzo giusto. Tutto ciò in aggiunta alle nostre note debolezze (tasse, giustizia, ecce cc.). Impossibile pensare di non soccombere alla concorrenza.
2) Sarebbe più facile forse, invece che arrivare subito ad una disgregazione totale della moneta unica, fare un primo passo con la formazione di un Euro del Nord e un Euro del Sud, come proposto in Germania?
R. Io preferirei come utopia una completa riprogettazione delle aree monetarie, con più monete per aree differenti e omogenee, non necessariamente coincidenti con gli attuali confini nazionali. In “mancanza di meglio” la segmentazione in due dell’area euro rappresenta una soluzione di parziale riequilibrio più facile da gestire perché l’uscita “dall’alto” di un gruppo di paesi evita alcuni rischi e segnatamente quello della “corsa agli sportelli” dovuta al timore di una svalutazione.
3) Quale potrebbe essere la soluzione pratica tra austerità e crescita?
R. Semplice, bisogna essere anticiclici. In recessione non si fa austerità, in crescita si taglia la spesa. In recessione si tutela maggiormente il lavoro, in crescita si sospende l’articolo 18 e si dà modo alle aziende di strutturarsi al meglio. In recessione si abbassano le tasse, in crescita si alzano. Pensare che in recessione tagliando la spesa licenziando gente e aumentando le tasse non si aggravi la recessione è come credere alla fata dei denti.
4) Da affermato economista, secondo Lei, qual è il primo punto che il prossimo governo che si formerà dovrà drasticamente cambiare per garantire finalmente all’Italia un percorso in salita?
R. Bisogna per prima cosa chiarire il quadro europeo perché al momento c’è in vigore l’assurdo fiscal compact. Fino ad ora per seguire l’Europa sono state prese decisioni evidentemente sbagliate e, cosa ancora più grave, senza ottenere nulla in cambio. Ora basta. Inoltre occorre un accordo bipartisan di tregua fiscale: la gente non spende più anche perché teme ancora nuove tasse, i partiti farebbero bene ad accordarsi perché ogni intervento fiscale per un certo numero di anni sia solo in calo, senza nessuna “rimodulazione” che finsce per creare incertezza. Ogni cittadino o impresa dovrebbe essere certo che non ci sarà più nessuna nuova tassa, indipendentemente dal proprio reddito o condizione. Quelle che ci sono sono troppe sotto ogni punto di vista.
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