L’Istat ha rivisto a rialzo la stima sul PIL del 2015, portandola al +0,8%. L’Italia sta ripartendo o è una ripresa dovuta a diverse coincidenze?
L’Istat ha rivisto a rialzo il dato del PIL 2015, portandolo ad un +0,8% dal precedente +0,7% risultando così in ribasso di un soffio rispetto al target del +0,9%. L’Italia così esce finalmente da uno dei più lunghi periodi di recessione, riscontrando inoltre un buon andamento del deficit e un leggerissimo aumento del debito pubblico.
Tutto questo è stato già ampiamente festeggiato dagli esponenti del governo Renzi che hanno così ribadito ancora che l’Italia sta ripartendo. Il ritorno al segno più del PIL italiano è dovuto a motivi reali, nel senso che è dovuto a motivi strutturali, o semplicemente per una concatenazione fortuita di eventi?
Italia: PIL 2015 salito del +0,8%, l’Italia riparte?
“L’Italia riparte” questo è lo slogan utilizzato dagli esponenti del governo Renzi e dal premier stesso dopo che l’Istat ha rivisto a rialzo le stime sul PIL 2015.
Secondo l’istituto nazionale di statistica, il PIL lo scorso anno è cresciuto del +0,8% portandosi così leggermente al di sotto del target fissato dal governo del +0,9%.
Sorprendente l’andamento del debito pubblico che è salito, in rapporto al PIL, al 132,6% dal 132,5% del 2014. Bene anche il deficit/PIL che è sceso al 2,6% centrando così gli obiettivi del governo. Risultano in aumento gli investimenti fissi lordi del +0,8%.
Uno dei maggiori contributi però deriva dal calo degli interessi passivi, scesi dell’8% rispetto al 2014, grazie alla politica monetaria espansiva messa in campo dalla Banca Centrale Europea.
Italia: la situazione reale non è riflessa nel PIL
Tutti ottimi dati, peccato che il PIL non sia il riflesso del benessere e delle prospettive di un Paese. Sul piano della disoccupazione il Jobs Act e gli incentivi ai datori di lavoro sembra che stia dando i suoi frutti visto il miglioramento della situazione della disoccupazione anche se il calo degli inoccupati è effimero e temporaneo.
Il programma di Garanzia Giovani continua a gonfie vele, aumentando esponenzialmente le iscrizioni di tirocinanti che, il più delle volte, risultano lavoratori ai quali non viene offerto nessun tipo di contratto.
La disoccupazione giovanile è al 44%, dato che è stato considerato “inquietante” dall’Ocse che ha anche ammonito l’Italia di spendere di più per le politiche attive del lavoro (ad oggi pari al solo 0,41%).
Le imprese fallite lo scorso anno sono diminuite rispetto al 2014. Magra consolazione visto che i numeri sono ancora elevatissimi: nel primo semestre 2015 si registravano 53 fallimenti al giorno, calati poi nel terzo trimestre a 46 (solo il settore dei servizi ha registrato un miglioramento in tal senso e la situazione dei crediti deteriorati delle banche è lo specchio del cattivo andamento dell’impresa italiana).
Capitolo reddito. Nel 2014 l’Italia si è piazzata al 20° posto (su 34 Paesi) nella classifica dell’Ocse dei salari reali. In Italia, secondo l’agenzia parigina, nel 2014 i salari sono cresciuti del 35.442$, pari a poco più di 10.000$ in meno rispetto alla media dell’area.
La spesa dei consumatori è aumentata come possibile vedere dal grafico sottostante (in mln di Euro) ma per una buona ragione:
Come si può notare la spesa è aumentata in funzione del crollo dei prezzi del petrolio (e in generale delle materie prime) che riduce i costi di produzione per le aziende con conseguente abbassamento dei prezzi.
Questo nel breve periodo porta giovamento all’economia, soprattutto se sommato alla svalutazione della moneta che permette un aumento delle esportazioni (cosa che la BCE sta facendo anche se non con risultati brillanti).
Nel medio-lungo periodo però, il crollo dei prezzi delle materie prime spinge il fenomeno della deflazione che comporta la fine della crescita economica dato che i consumatori non spendono più (pensando che i prezzi si abbasseranno ulteriormente) mentre i fatturati delle aziende si riducono.
Italia: target 2016 a rischio
Infatti questo è il concetto base che con ogni probabilità, purtroppo, non permetterà al governo Renzi di raggiungere il target del PIL al +1,4% per quest’anno.
I prezzi delle materie prime rimarranno ancora molto bassi, opprimendo così la crescita dell’inflazione (che permette la discesa dei debiti visto che la moneta vale meno quando l’inflazione è presente).
Altro problema è la turbolenza dei Paesi emergenti con cui l’Italia commercia parecchio. Nel 2015 la domanda netta dall’estero ha avuto un contributo negativo sulla crescita del Paese ed è per questo che ci si aspetta un sostegno maggiore dalla spesa interna (cosa inverosimile in deflazione).
Un aumento così esiguo del PIL, vedendo poi effettivamente in che stato versa il Bel Paese, non può costituire certo una fase di ripartenza ma semplicemente una base da cui lavorare e molto.
Il governo Renzi si dovrà adoperare per assorbire i giovani disoccupati perché sono una perdita di capitale umano futuro insostenibile per il Paese. Ci si dovrà concentrare su un aumento dei salari reali e sulla detassazione delle imprese, ancora troppo elevate per essere sostenibili.
Attenzione poi alla crescente non-tutela dei lavoratori, i quali col Jobs Act possono essere liberamente liquidati. Seppur vero che l’indeterminato è un miraggio tutto italiano, favorire la mobilità in tempi difficili (con prospettive poi non rosee) può essere un boomerang per l’economia italiana.
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