JPMorgan e la sua presunta manipolazione sul referendum costituzionale di Matteo Renzi. Dov’è la verità?
Il voto per il Referendum costituzionale è ormai alle porte e non si placano le voci sull’influenza di JPMorgan nei confronti della riforma della costituzione italiana di Matteo Renzi e Boschi: dov’è la verità?
Renzi e il suo referendum sono davvero frutto della manipolazione internazionale delle grandi potenze bancarie come JPMorgan?
Da mesi si parla della mano forte di JPMorgan, istituto finanziario statunitense tra i più potenti al mondo, sul primo ministro italiano Matteo Renzi e sul suo progetto di modifica della Costituzione di stampo eccessivamente “anti-fascista” secondo la banca made in USA. Complici, come se non bastasse, anche i possibili effetti di MPS dall’esito del referendum.
Le grandi decisioni, guardando alla storia, vengono spesso prese per bocca di pochi e la stessa dinamica sembra caratterizzare il referendum in Italia e la forte influenza internazionale di JPMorgan, banca americana ritenuta responsabile della bolla dei mutui sub-prime che ha scatenato la grave crisi mondiale del 2008 - come sentenziato dal Tribunale di New York - e di vari altri scandali, come la Balena di Londra che è costata a JPMorgan 920 milioni di dollari.
Il nostro primo ministro Matteo Renzi sarebbe dunque complice di un’intesa segreta e strettamente personale per modificare l’impostazione della Costituzione italiana e del nostro Parlamento per rendere l’Italia più flessibile alle esigenze delle grandi potenze finanziarie mondiali, che operano più facilmente in contesti semplificati. L’accusa è portata avanti con forza dal Movimento 5 Stelle.
Via la Costituzione Italiana implementata nel post-fascismo e benvenuta alla Costituzione che promette una maggiore governabilità, senza contare che la suddetta “rivoluzione” minaccia di ledere la democrazia e i diritti primari della popolazione.
È questa la verità, è questo il progetto che la tanto discussa JPMorgan ha sul referendum costituzionale e sul primo ministro Matteo Renzi?
La mano di JPMorgan sul referendum costituzionale
Verba volant, scripta manent. È del 2013 un report sulle Costituzioni europee di JPMorgan in cui la banca d’affari spiega che la costituzione dei Paesi periferici - come l’Italia - soffre di enormi problemi, tra cui un Governo troppo debole rispetto al Parlamento, troppo potere alle Regioni, troppi diritti per i lavoratori, troppo diritto di dire la propria “se i cambiamenti sono sgraditi”.
I numerosi indizi che testimoniano un rapporto non istituzionalmente documentato tra Renzi e JPMorgan, complice anche l’ex primo ministro inglese Tony Blair, hanno spinto la Adusbef (associazione in difesa dei consumatori e utenti bancari, finanziari e assicurativi) a denunciare il primo ministro italiano alla procura di Roma per alto tradimento.
Secondo l’associazione, infatti, l’intera riforma costituzionale messa alla prova al referendum del 4 dicembre sarebbe frutto di accordi privati e di comodo tra Renzi e l’istituto finanziario americano.
La mano di JPMorgan sul referendum italiano non è l’unica forza esterna a sostenere la riforma della costituzione: a favore anche la grande burocrazia internazionale, dalle lobby negli Stati Uniti all’Unione Europea.
Ma quale legame esiste davvero tra JPMorgan e Renzi?
JPMorgan e Renzi: gli indizi di un rapporto “sospetto”
Il primo filo conduttore è Tony Blair, ex primo ministro del Regno Unito e consulente pluriennale per l’americana JPMorgan.
Renzi, Blair e il numero uno di JPMorgan, Jamie Dimon, si sono incontrati più volte in occasioni non istituzionali. A partire dalla cena a palazzo Corsini a Firenze, alla quale Dimon invitò l’allora sindaco fiorentino Matteo Renzi e Blair. Poi ancora nel 2014, con un Renzi in veste assai diverse: primo ministro italiano.
Fece scandalo l’intervista rilasciata da Tony Blair a Repubblica all’indomani del meeting di aprile 2014, in cui definisce Renzi il suo erede, elogia il suo programma di riforma costituzionale e il suo piano per rilanciare l’economia.
Lo stesso Blair, poco dopo, dichiarò al The Times:
«Il mutamento cruciale, delle istituzioni politiche, neanche è cominciato. Il test chiave sarà l’Italia: il governo ha l’opportunità concreta di iniziare delle riforme significative».
Perché JPMorgan spinge il referendum costituzionale
Il primo grande elemento che sottolinea un rapporto tra la JPMorgan e il referendum costituzionale risale al lontano 28 maggio 2013 - giorno in cui l’istituto statunitense pubblica un report dal titolo “Aggiustamenti nell’area euro” che di lì a poco sarebbe diventato virale in tutto il mondo.
Lo studio di JPMorgan sottolinea in che modo la Costituzione dei Paesi europei periferici, tra cui l’Italia, freni le possibilità di crescita economica, poiché piene di limiti e caratteristiche che ostacolano l’integrazione con l’area dell’euro.
La Costituzione Italiana ha un impianto troppo anti-fascista, troppo datato ormai, secondo la banca americana.
Nello specifico:
«Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinsechi avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea».
Ed è proprio la sua Costituzione ad aver alimentato i problemi economici dell’Italia, secondo il report. Troppo socialismo, un approccio troppo ispirato all’anti-dittatura.
Infatti, continuiamo a leggere nel report di JPMorgan:
«I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo».
I difetti della Costituzione Italiana secondo JPMorgan
Secondo JPMorgan la Costituzione Italiana proprio non va, insieme ad alcune altre della periferia UE, e la banca ne elenca i motivi:
«I sistemi politici e costituzionali del Sud (Europa, ndr) presentano le seguenti caratteristiche:
- esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti,
- governi centrali deboli nei confronti delle Regioni,
- tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori,
- tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo,
- il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi.
La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalla Costituzione (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».
Referendum, Renzi e JPMorgan: i 10 indizi del M5S
Sta facendo discutere l’elenco di indizi che, secondo il post pubblicato sul blog di Beppe Grillo, testimonierebbero il rapporto e l’influenza di JPMorgan su Renzi e il referendum costituzionale.
Sebbene sia ad onor di cronaca impossibile parlare di prove, tutti gli eventi descritti di seguito evidenziano l’esistenza di un certo legame tra Renzi e la banca americana e la possibile influenza di quest’ultima nell’implementazione della riforma costituzionale.
- 1 giugno 2012 - Renzi è invitato alla cena presso palazzo Corsini organizzata grande istituto finanziario a Firenze nella carica di sindaco della città. A mandare l’invito è Jamie Dimon, CEO di JPMorgan. Presente anche Tony Bair, allora già non più primo ministro inglese. Nessun report, nessuna notizia sui contenuti dell’incontro.
- 28 maggio 2013 - JPMorgan divulga il tanto discusso report dal titolo “Aggiustamenti nell’area euro”, già ampiamente discusso in questa sede.
- 1 Aprile 2014 - Renzi visita l’ambasciata italiana a Londra a poco meno di due mesi dalla nomina a presidente del Consiglio, ospite di Pasquale Terracciano. Presente anche Tony Blair, con il quale Renzi discute in in privato. Due giorni dopo Bair definirà Renzi «mio erede» in un’intervista a La Repubblica.
- 6 luglio 2016 - Questione MPS: a inizio anno Renzi invita ad investire su MPS, “ormai risanata, su cui investire è un affare”. In estate Jamie Dimon, CEO di JPMorgan, convince Renzi a lasciargli campo libero su MPS, con la conseguente rimozione di Viola dal ruolo di ad.
- 8 settembre 2016 - Fabrizio Viola si dimette da ad di Monte Paschi. «Alla luce delle perplessità espresse da alcuni investitori in vista del prossimo aumento di capitale e d’accordo con la Presidenza del Consiglio, riteniamo opportuno che lei si faccia da parte», racconterà Viola circa la chiamata ricevuta da Padoan, ministro dell’economia.
- 13 ottobre 2016 - Al via al terrorismo dell’agenzia di rating Moody’s, per cui «con il no al referendum rischi per l’aumento di capitale di Mps».
- 25 ottobre 2016 - Il futuro di MPS viene ancorato alla vittoria del SI al referendum costituzionale da tutte le grandi banche internazionali. Alla guida di MPS, da un mese, Marco Morelli - ex di JPMorgan.
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