A chi si applica il Jobs Act? Le nuove regole sono valide per i dipendenti pubblici o privati? Ecco il punto della situazione.
La scena politica degli ultimi mesi è stata dominata da diverse parole chiave, una tra tutte: Jobs Act.
Quando circa un anno fa Matteo Renzi fu ospite della trasmissione Otto e Mezzo su La7 condotta da Lilli Gruber, alla domanda perché Jobs Act? Renzi rispose:
«Perché ci piace copiare i democratici americani».
A un anno di distanza sappiamo cos’è il Jobs Act: l’ennesima riforma del lavoro, perché forse agli occhi dei politici è giusto che ogni nuovo Premier riformi e plasmi a propria immagine e somiglianza un settore così delicato, con un aggravante: si continua a riformare qualcosa che in Italia non c’è. Il lavoro appunto.
Dopo le varie opinioni dispensate da esperti ed opinionisti sul Jobs Act di Renzi è tempo di far capire ai lavoratori a chi si applicano le sue regole: dipendenti pubblici o privati?
Jobs Act: a chi si applica?
Certamente le regole del Jobs Act non si applicano a coloro che hanno già un contratto di lavoro a tempo indeterminato, a prescindere che appartengano al settore pubblico o privato.
Le norme verranno applicate quindi ai neoassunti del 2015.
Dopo che il senatore e giuslavorista Pietro Ichino ha fatto notare che nella parte relativa ai licenziamenti collettivi, non vi è alcun accenno ai dipendenti pubblici, l’intervento di Renzi è stato quasi obbligato.
Così il Premier durante la conferenza stampa di fine anno ha spiegato che:
«Ho tolto quella norma, ho proposto di togliere e il Cdm ha approvato, perché non aveva senso. Il Jobs Act, che io considero un passo in avanti importantissimo, non si occupa di disciplinare i rapporti del pubblico impiego, perché c’è già in Parlamento, in questo momento, in Senato, lo strumento normativo che deve disciplinare i rapporti del pubblico impiego. Inserire come era stato fatto, una norma per dire ’riguarda anche’ o ’non riguarda anche’ i lavoratori del pubblico impiego sarebbe stato non corretto».
E ha aggiunto:
«Io penso che il sistema di pubblico impiego vada cambiato e non necessariamente per applicare ciò che abbiamo fatto per il privato. Questo argomento prenderà febbraio o marzo. Non vedo perché non prevedere scarso rendimento nel pubblico».
Insomma il Jobs Act vale solo per i dipendenti del settore privato, come confermato anche dal ministro della PA Madia. Gli statali dovranno attendere proprio il ddl Madia per scoprire le novità su lavoro e licenziamenti che li riguardano.
Ma questa differenziazione non viola il principio di uguaglianza dei lavoratori di fronte alla legge? A sollevare il dubbio di incostituzionalità è il giurista Stefano Ceccanti:
“Se c’è disparità di trattamento la questione può finire di fronte alla Consulta”.
Novità e indiscrezioni ddl Madia
In attesa di capire cosa accadrà in primavera, Renzi è chiaro: i fannulloni andranno a casa, mentre nel caso dei lavoratori che non lavorano bene perché non sono messi nelle condizioni di farlo, la responsabilità sarà dei loro dirigenti, i quali spesso hanno timore di allontanare un dipendente poco produttivo, poiché nel caso di licenziamento illegittimo, sarebbe lo stesso dirigente ad avere l’onere del risarcimento del danno erariale.
Il ddl Madia potrebbe modificare quest’iter? Per gli statali potrebbe essere inserito il licenziamento per scarso rendimento?
Ad oggi i motivi per cui un dipendente pubblico può essere licenziato sono 7:
- falsa attestazione della presenza in servizio;
- assenza ingiustificata per più di tre giorni in un biennio;
- ingiustificato rifiuto al trasferimento;
- documenti falsi per assunzione o progressione di carriera;
- condotte gravi, aggressioni o molestie;
- condanna penale definitiva con interdizione dai pubblici uffici;
- valutazione insufficiente del rendimento lavorativo per almeno due anni.
Sul piano assunzioni emergono alcune indiscrezioni. Avverranno tramite un unico concorso: i vincitori verranno smistati nelle varie amministrazioni e i precari della PA potranno godere di un punteggio più alto.
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