Secondo l’Inps nel 2015 ci sono stati 510,ooo contratti stabili in più, ma incrociando i dati con quelli dell’Istat emerge che se anche la percentuale di occupati rispetto al totale della popolazione è cresciuta da dicembre 2014, da metà 2015 è diminutia la percentuale degli “attivi”, ovvero di chi ha già un lavoro o ne cerca uno.
Nei primi undici mesi del 2015 è aumentato, rispetto 2014, il numero complessivo delle assunzioni nel settore privato (+444.409, pari al +9,7%) per effetto soprattutto della crescita dei contratti a tempo indeterminato (+442.906, pari al +37%). Sono poi aumentate anche le assunzioni con contratti a termine (+45.817, pari al +1,5%) mentre le assunzioni in apprendistato (-44.314, pari al -20%) sono calate. Si aggiungono al conteggio le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine, più 25,7 % rispetto al 2014, per un totale complessivo di 510.292. , incluse le “trasformazioni” degli apprendisti in contratti stabili. Questi i dati diffusi dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps, che registra un saldo complessivo, al netto delle cessazioni dei rapporti di lavoro (+2,1% nel complesso; +1,9% per i contratti a tempo indeterminato), di + 356.000 assunzioni - di qualunque tipo - tra gennaio e novembre 2015. In particolare, si registra un cambiamento positivo tra i giovani che riescono a trovare occupazioni meno precarie: nella fascia di età fino 29 anni, l’incidenza dei rapporti di lavoro “stabili” sul totale dei rapporti di lavoro è passata dal 24,5% del 2014 al 31,3% del 2015.
Da una prima lettura dei dati sembrerebbe quindi che il tanto conteso e discusso Job acts stia facendo il suo dovere e che il governo Renzi abbia veramente messo in pista uno strumento in grado di dare nuovo slancio all’occupazione. Tuttavia, per capire che cosa è effettivamente cambiato nel mercato del lavoro in Italia bisogna mettere insieme due tipologie di dati: l’andamento delle assunzioni/licenziamenti e i livelli di occupazione, esercizio portato avanti diligentemente da un gruppo di studenti di economia delle prestigiose università Bocconi, London School of Economics e Pompeu Fabra sulle pagine online de la “Lavoce.info”. Secondo il giornale, i dati distribuiti dall’INPS rientrano nella prima categoria, mentre per reperire i dati sul numero di occupati/disoccupati si può ricorrere all’indagine mensile sull’argomento delI’Istat. Secondo l’istituto statistico a novembre 2015 la stima degli occupati cresce dello 0,2% (+36 mila), con un tasso di occupazione che aumenta di 0,1 punti percentuali fino al 56,4%, soprattuto grazie all’aumento dell’occupazione femminile, dei dipendenti permanenti e degli indipendenti. Contemporaneamente i disoccupati a novembre diminuiscono dell’1,6% (-48 mila) con un tasso di disoccupazione che diminuisce di 0,2 punti percentuali fino all’11,3%. Fin qui solo notizie positive quindi, anche se il tasso di occupazione rimane ancora piuttosto critico. Mancano infatti ancora i dati relativi agli inattivi, che crescono a settembre (+0,5%) e ottobre (+0,3%) con un tasso di inattività, a novembre, pari a ben 36,3%. Su base annua, conclude l’Istat, la disoccupazione è effettivamente diminuita (-14, 3%, pari a -479 mila persone in cerca di lavoro), è cresciuta l’occupazione (+0,9% di occupati) ma è cresciuta anche l’inattività (+1,0%, pari a +138 mila persone inattive).
In conclusione solo alcuni dei milioni di disoccupati della crisi sono rientrati nel mercato del lavoro, mentre altri hanno semplicemente smesso di cercare un’occupazione. Mentre quindi per i contratti a tempo indeterminato il trend in crescita è evidente, i posti di lavoro sono aumentati solo lievemente. Il trucco sta nelle statistiche: mentre la prima tipologia di dati va a misurare i nuovi contratti, la seconda stima (tramite campionamento) il numero di persone che lavorano (gli occupati), quelle “attive” (la forza lavoro totale, ossia occupati e disoccupati - che comunque sono in cerca di un lavoro) e quelle inattive (né occupati, né in cerca di lavoro).
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