L’uso di carte di credito ad aprile riporta il totale all’era pre-Covid, mentre il risparmio langue. Ma in Cina si torna a scommettere in Borsa e una mega-scadenza di opzioni offre sponda alla Fed
Altro giro, altro record. Gli statunitensi stanno roteando le loro carte di credito come tanti samurai con le loro katana. Il last hurrah è di quelli storici, come mostrano questi grafici:
non solo l’utilizzo di credito revolving ha segnato il secondo controvalore mensile di sempre a quota 17,8 miliardi di dollari (+19,6% su base annua) ma, soprattutto, il risultato di aprile appena diffuso ha riportato il dato totale al massimo record di 1,1 trilioni di dollari, di fatto polverizzando tutto il deleverage da sussidi pandemici giusto in tempo per gli aumenti degli APR su quelle carte.
Insomma, recessione garantita. Si spende come pazzi, attendendo che il destino faccia il suo corso. Ma questi altri due grafici
confermano come ormai il gioco in atto sia a somma zero, un circolo debitorio vizioso che vede gli Stati Uniti ostaggio senza possibilità di riscatto della logica da Qe strutturale e perenne. Se il debito scolastico e per l’acquisto di automobili alla fine del primo trimestre ha sfondato un nuovo record assoluto, in attesa della folle ma quasi certa moratoria elettorale in vista del mid-term di novembre, ecco che il livello di risparmio degli americani rasenta la vita paycheck-to-paycheck. Ulteriore calo ai minimi dell’era Lehman, chiaro sintomo che l’utilizzo delle carte di credito sia ormai misura emergenziale e necessaria per sopravvivere e non per togliersi qualche sfizio. D’altronde, dopo trimestri di diluvio salariale attraverso sostegni e sussidi di massa, nessuno può stupirsi.
Tutto nero, insomma? Non del tutto. Quantomeno, volendo accettare la logica perversa del monetarismo da Banca centrale come unica via applicabile al capitalismo del nuovo millennio, il libero mercato 2.0 della manipolazione perenne. Questo grafico
ci mostra infatti come il mercato azionario cinese abbia appena segnato un turnover superiore al trilione di yuan (149 miliardi di dollari) per due sessioni di fila questa settimana, un qualcosa che non accadeva da marzo e che a detta di molti analisti rappresenta un chiaro proxy di intervento della Pboc ormai alle porte per stimolare la crescita e garantire credito all’economia. E si sa, l’impulso creditizio cinese non solo è il lubrificante di mercato del mondo ma, notoriamente, anticipa di 3-6 mesi un intervento in tal senso anche da parte delle Banche centrali occidentali.
Tradotto, recessione lampo e blocco delle politiche di normalizzazione dei tassi. Sia della Fed che della Bce. E cosa potrebbe innescare un primo, netto segnale di discontinuità, almeno nell’approccio e nella percezione? Ce lo mostra questo ultimo grafico,
il quale ci ricorda come venerdì 17 giugno, al netto della scaramanzia, ci porterà in dote una scadenza di opzioni a Wall Street decisamente monstre, qualcosa come 3,2 trilioni di controvalore assortito fra gli assets. Il tutto subito dopo la riunione del board della Fed, prevista per il 14-15 giugno e chiamata a formalizzare il processo di rialzo dei tassi e accelerazione nel quantitative tightnening rispetto allo stato patrimoniale. Se sarà Big Bang, se si sostanzierà un Black Friday, qualcosa potrebbe cambiare. Perché le elezioni di avvicinano e il solo warfare da proxy war in Ucraina non è sufficiente. E non copre la spesa al supermarket, il pieno di benzina o la carta di credito al 15 del mese. Se invece il Vix resterà placido e tutto scorrerà as usual, avremo la certezza di un playbook da incidente controllato in pieno svolgimento. Comunque sia, serve un botto. Poi, però, sarà festa. E con valutazioni sui minimi da bava alla bocca.
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