Lavori in casa: quali sono le imprese che potranno permettersi di fare lo sconto in fattura ai propri clienti? Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 31 luglio 2019 ha creato parecchio sconcerto tra le piccole e medie imprese.
Lavori in casa: la novità dello sconto in fattura apre una grande controversia tra contribuenti e fornitori, resa operativa dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 31 luglio 2019.
La controversia tra contribuenti e imprese ha ragione d’esistere perché la possibilità di avere lo sconto in fattura immediato, al posto della detrazione spalmata in 10 o 5 anni, è chiaramente un vantaggio per il cliente, ma allo stesso tempo penalizza gravemente le piccole e medie imprese installatrici e distributrici.
I contribuenti che effettueranno lavori in casa di riqualificazione energetica (ecobonus) e di riduzione del rischio sismico (sismabonus) possono scegliere di ricevere un contributo di pari ammontare alla detrazione, spettante sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi.
Questo tipo di meccanismo tuttavia è un vantaggio solo per grandi operatori e fornitori, che hanno la forza economica e organizzativa necessaria ad anticipare gli oneri finanziari e poter aspettare i cinque anni di attesa per vedersi restituire gli importi dallo Stato.
Per le piccole e medie imprese invece sarà alquanto difficile anticipare un’agevolazione statale e rinunciare ad una parte di liquidità.
Lavori in casa: tutte le imprese riusciranno a fare lo sconto in fattura?
Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate pubblicato il 31 luglio 2019 ha scatenato le proteste da parte delle piccole e medie imprese.
In particolari gli imprenditori contestano l’articolo 10 del Decreto Crescita, che rende effettiva la possibilità di richiedere lo sconto in fattura per lavori in casa da parte dei contribuenti.
I contribuenti effettueranno lavori in casa di riqualificazione energetica e di riduzione del rischio sismico possono scegliere, al posto della detrazione, il riconoscimento di uno sconto immediato all’impresa.
Ma cosa succede ai fornitori?
Il fornitore, per attivare il meccanismo, dovrà confermare l’esercizio dell’opzione da parte del suo cliente, attestando che lo sconto è stato effettuato. Al netto delle procedure operative, l’impresa dovrà scegliere di rinunciare ad una parte dell’incasso dei lavori, che sarà successivamente recuperato in compensazione in cinque anni.
In alternativa, l’impresa potrà cedere il credito d’imposta ai propri fornitori (ai quali è preclusa la possibilità di ulteriori cessioni), ma non a banche e ad altri intermediari finanziari.
Insomma, dovrà essere l’impresa ad anticipare i soldi per i lavori e aspettare cinque anni per vedersi restituito il totale: qualcosa che per le piccole e medie imprese si avvicina molto a una mission impossible.
Lavori in casa e sconto in fattura: la reazione delle piccole e medie imprese
In Italia il panorama imprenditoriale è composto per la stragrande maggioranza da piccole e medie imprese. Come mai allora è stato approvato un provvedimento che mette in seria difficoltà il 90% degli imprenditori?
La situazione, come anticipato, non solo è controversa, ma potrebbe rivelarsi anche controproducente.
Se i piccoli e medi imprenditori vengono fatti sparire dall’equazione, ai grandi operatori viene tolta la concorrenza: il rischio è che la misura favorirà l’aumento dei prezzi delle ristrutturazioni.
Questo meccanismo sembrava, all’inizio, un grande vantaggio almeno per il contribuente, ma in realtà risulta essere deleterio per tutti: non solo per le piccole e medie imprese che non potranno competere con i grandi operatori del settore ristrutturazioni, ma anche per il cliente, che non avrà più a disposizione né un’ampia scelta tra le imprese né la possibilità di fare i lavori ad un prezzo competitivo.
La Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa, dal canto suo, non ha intenzione di arrendersi e ha presentato ricorso all’Autorità garante per la concorrenza e il libero mercato.
Il CNA Umbria in particolare ha preso apertamente posizione contro le misure relative al credito di eco e sisma bonus, sollecitando i parlamentari umbri affinché si impegnino a far abrogare anche un altro articolo del Decreto Crescita.
Si tratta dell’articolo 18, che blocca la possibilità ad artigiani, commercianti e piccole imprese di accedere a finanziamenti avvalendosi della controgaranzia dei confidi di categoria, che avrebbero funto da mediatori con le banche, così come previsto dalla lettera “R” del decreto legislativo Bassanini.
Le imprese più piccole non ottengono credito perché non fanno investimenti, ma come si possono realizzare investimenti senza le adeguate coperture finanziarie?
La richiesta del CNA Umbria è che venga reintrodotta la possibilità di ricorrere all’applicazione della “lettera R” della Bassanini o di arrivare ad una soluzione mediata prima dell’approvazione della Legge di Bilancio 2020.
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