Una analisi del Gimbe per il Corriere farebbe emergere come la Lombardia, per ogni 100.000 abitanti, avrebbe effettuato di media meno tamponi diagnostici al giorno rispetto a regioni come Basilicata e Molise che sono state colpite in maniera molto inferiore dal coronavirus.
Quando ancora si era nel pieno dell’emergenza coronavirus, lo scorso 15 aprile il governatore della Lombardia Attilio Fontana via social ha annunciato il programma per ripartire del Pirellone che si basa sulle quattro D: distanza (almeno un metro di sicurezza tra le persone), dispositivi (obbligo di utilizzare le protezioni per tutti), digitalizzazione (smart working obbligatorio per tutti coloro che possono) e diagnosi (test sierologici).
Per gli scienziati e l’Oms invece la strategia migliore è quella delle tre T: testare più persone possibile con tamponi o test sierologici, tracciare con app o indagini i contatti dei casi positivi e trattare i malati con l’assistenza ospedaliera o domiciliare coordinata.
Adesso che fortunatamente la curva del contagio da coronavirus in Italia è in costante discesa, la Fase 2 iniziata lo scorso 18 maggio si appresta ad affrontare il fondamentale step della riapertura degli spostamenti tra le Regioni.
In base ai dati che venerdì 29 maggio finiranno sulla scrivania del ministro della Salute, le varie Regioni saranno etichettate come ad alto, medio o basso rischio. Al momento, si parla per la Lombardia e il Piemonte di uno slittamento di una settimana per la riapertura dei confini.
La fondazione Gimbe però ha lanciato un allarme “il numero di nuovi casi è direttamente influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni, che su questo in parte si mostrano restie” ha spiegato Nino Cartabellotta presidente Gimbe al Sole 24 Ore “verosimilmente per il timore non dichiarato di veder aumentare troppo le nuove diagnosi che le costringerebbero ad applicare misure restrittive”.
I pochi tamponi fatti in Lombardia
Sempre la fondazione Gimbe, questa volta in collaborazione con Dataroom di Milena Gabanelli e il Corriere della Sera, ha schematizzato la media dei tamponi fatti al giorno ogni 100.000 abitanti dalle varie Regioni nel periodo compreso tra il 22 aprile e il 18 maggio.
Fonte Gimbe per Dataroom
A riguardo, è interessante focalizzarsi soltanto sui tamponi diagnostici, ovvero quelli effettuati per scovare nuove positività al coronavirus, visto che il computo totale comprende anche quelli realizzati per accertare la guarigione di un paziente.
Balza all’occhio così che la Lombardia, la Regione tragicamente più colpita da questa pandemia, di media ha realizzato 63 tamponi diagnostici al giorno per ogni 100.000 abitanti. Un numero che può essere considerato basso se consideriamo cosa è accaduto in Regione negli ultimi mesi.
La Basilicata per esempio, dove il virus fortunatamente si è visto poco, ne ha effettuati 96. Se si guarda poi il parallelo della Lombardia con il Veneto, dove invece si è optato con successo per una strategia di test a tappeto, le differenze appaiono ancor più evidenti.
Fonte Gimbe per Dataroom
Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, a Milano in data lunedì 18 maggio a fronte di 603 casi sospetti sono stati fatti solo 9 tamponi, mentre a Brescia 1 solo test per 624 segnalazioni di sospetto coronavirus.
Martedì 26 maggio invece il Corriere della Sera ha scritto “In Lombardia 3.721 ricoverati rispetto ai 4.017 di domenica (-296), in terapia intensiva 196 (-1). Il calo dei contagi nella regione più colpita fa ben sperare anche se va detto che ieri in Lombardia sono stati eseguiti soltanto 5.641 tamponi, contro gli 11.457 del giorno precedente. E il rapporto fra tamponi effettuati e numero di positivi trovati è lievemente in salita: 2,6% contro il 2,5% di domenica”.
Se l’aumento dei test era una delle prerogative per la buona riuscita di questa Fase 2, in Lombardia appare evidente come non si stia facendo abbastanza a riguardo, tanto che ci si potrebbe chiedere se i numeri diramati dai vari bollettini siano una fotografia reale della attuale situazione sanitaria nella Regione.
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