Le mani avanti del ministro Franco, la Fed e lo sprofondo tedesco: addio Pil al 6%?

Mauro Bottarelli

06/10/2021

Per il titolare dell’Economia, il ritorno del virus colpirebbe le stime. Ma il vero contagio è quello di inflazione, energia e supply chain: gli ordinativi di Berlino già crollano. E anche gli Usa.

Le mani avanti del ministro Franco, la Fed e lo sprofondo tedesco: addio Pil al 6%?

Se la pandemia riprende, i numeri della crescita sono a rischio. Parole e musica del ministro dell’Economia, Daniele Franco, in audizione al Parlamento sulla nota di aggiornamento del Def. Tradotto? Prepariamoci a un lockdown natalizio. O giù di lì. Perché le parole del titolare del dicastero di via XX Settembre rappresentano qualcosa in più di una riflessione ipotetica sul worst case scenario, sono il classico mettere le mani avanti di fronte a una realtà macro che sta accelerando e sfuggendo dal controllo. Ovunque.

Basti guardare questo grafico

Andamento del tracciatore del Pil Usa in tempo reale (GDPNow) Andamento del tracciatore del Pil Usa in tempo reale (GDPNow) Fonte: Atlanta Fed

e metterlo in comparazione con quanto affermato dal ministro Franco, ovvero un Pil italiano che nel terzo trimestre è stimato al +2,2%: l’immagine mostra il precipizio delle rilevazioni operate dal tracciatore di crescita in tempo reale della Fed di Atlanta, GDPNow, rispetto al prodotto interno lordo Usa nel medesimo arco temporale. Oggi l’economia americana nel periodo luglio-settembre è stimata al +1,3% dal +2,3% soltanto del 1 ottobre. Ma non basta: solamente il 24 agosto quella voce era rappresentata da un roboante +6%. La stessa percentuale che il governo italiano continua a sbandierare come dato di Pil per il 2021, sintomo di una sostenibilità e robustezza del rimbalzo post-pandemia.

Il rischio è che tutto possa ridimensionarsi in un attimo, come accaduto a Washington. Perché l’inflazione si sta dimostrando tutt’altro che transitoria, il caro-energia ogni giorno più impattante su imprese e cittadini e i colli di bottiglia sulla supply chain ben lungi dall’essere a un punto di svolta. E non si cada nell’errore di leggere come inversione di tendenza il crollo del costo dei noleggi container sulla tratta Cina-Usa, passati da 15.000 a 5.000 dollari in dieci giorni: a pesare è l’assenza di richiesta, stante i blocchi o i rallentamenti della produzione del Dragone proprio a causa dei black-out energetici. Ma senza varcare l’Oceano e comparare la nostra economia con quella statunitense, ecco che basta alzare lo sguardo per vedere un proxy decisamente poco confortante. Già sul breve termine.

Questa immagine

Andamento degli ordinativi industriali tedeschi Andamento degli ordinativi industriali tedeschi Fonte: Oxford Economics/Haver Analytics

parla chiaro: nel mese di agosto, infatti, sono scesi più del previsto gli ordinativi all’industria in Germania. Stando a dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica, Destatis, si è registrato un calo degli ordini del 7,7%, mentre il consensus era per una discesa del 2,1% dopo il +4,9% del mese precedente (rivisto da un preliminare +3,4%). Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, gli ordinativi risultano in aumento dell’11,7% contro il precedente +26,1% (dato a sua volta rivisto da +24,4%). La crisi della catena di approvvigionamento unita a quella dei costi energetici sta picchiando durissimo in Germania, le cui industrie sono munifiche fornitrici di lavoro per il comparto della componentistica e dei macchinari di precisioni italiano.

Scontiamo quindi il classico gap a tre mesi di questa crisi: il fall-out arriverà in pieno quarto trimestre, il momento peggiore. E questo grafico

Andamemento del Misery Index tedesco (inflazione + disoccupazione) Andamemento del Misery Index tedesco (inflazione + disoccupazione) Fonte: Bloomberg

mostra plasticamente in quale clima socio-economico si stiano tenendo i colloqui preliminari per la formazione di un nuovo governo in Germania: il Misery Index, il quale traccia il combinato di dinamiche inflazionistiche e occupazionali, oggi è al 9,6%, il massimo dal 2008. Di fatto, l’aumento dei prezzi (+4,1%) è stato più rapido e drastico del calo della disoccupazione, attualmente al 5,5%: un mix letale, se unito alla crisi strutturale inenscata dalla supply chain e dai costi energetici.

E questi tre grafici

Riserve di gas naturale della Germania (medie e attuali) Riserve di gas naturale della Germania (medie e attuali) Fonte: Nordea/Macrobond
Andamento dei prezzi di carbone ed energia elettrica (Germania) Andamento dei prezzi di carbone ed energia elettrica (Germania) Fonte: Bloomberg
Andamento dei prezzi futures del carbone a uso industriale Andamento dei prezzi futures del carbone a uso industriale Fonte: Bloomberg

mostrano come la situazione rischi di peggiorare ulteriormente, poiché con le riserve di gas a livello di pre-allarme rosso, la Germania finora è riuscita a mentenersi in linea di galleggiamento grazie all’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica. Ma non solo l’attuale trend delle valutazioni ha spezzato un andamento in tandem che aveva retto fino alla scorsa estate e garantito così un fattore di boost agli ottimi risultati economico-industriali del post-seconda ondata ma ecco che la fame onnivora di energia della Cina sta spedendo alle stelle anche le valutazioni dello sporco, inquinante e poco appetito combustibile fossile.

Tradotto, il crunch energetico tedesco pare avere ancora molta strada da fare. Soprattutto se, come sembra, l’Unione Europea intende sfidare a duello la Russia sulla questione Nord Stream 2, disputa ancora apparentemente embrionale ma già capace di fare danni enormi, visto che pochi istanti fa i futures sul gas europeo (Dutch) hanno toccato il nuovo record assoluto di 145 euro per megawatt/ora dai 111 euro soltanto di ieri. Insomma, il ministro Franco ha operato in modalità spoiler, più che limitarsi alla contemplazione accademica di un worst case scenario improbabile. O sarà nuova emergenza pandemica o sarà tempo di lacrime e sangue. Quasi certamente, non sarà tempo di Pil al 6%. Anzi, senza quasi.

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