Mélenchon non teme la vittoria di Le Pen ma di restare invischiato in un Eliseogate

Mauro Bottarelli

11 Aprile 2022 - 10:16

In vista del ballottaggio fra Emmanuel Macron e la leader della destra, l’outsider della gauche (22%) non avanza richieste, né chiede confronti: si limita a mettere le mani avanti. A tempo di record

Mélenchon non teme la vittoria di Le Pen ma di restare invischiato in un Eliseogate

Questa volta non serve nemmeno far ricorso alla dietrologia. Basta un minimo di ragionamento. Perché quando scopri di essere il terzo incomodo nella corsa all’Eliseo con oltre il 20% dei consensi e di aver ridicolizzato ciò che resta del Partito socialista, precipitato al 2% con la sindaca di Parigi, quando il Cirque d’Hiver ribolle di entusiasmo e chiede parole forti al suo leader, quando soprattutto l’occasione appare senza precedenti per alzare la posta e rivendicare almeno due punti programmatici come nobile merce di scambio in vista del ballottaggio del 24 aprile, Jean-Luc Mélenchon ha avuto un unico pensiero: mettere le mani avanti e dire che Marine Le Pen non dovrà poter contare su un solo voto dal suo fronte. E lo ha ripetuto quattro volte.

Per quanto ideologicamente agli antipodi, una fretta sospetta. Soprattutto alla luce del bacino elettorale che il leader di France Insoumise può rivendicare. Stando a un sondaggio di Elabe per BfmTv, infatti, il candidato dell’estrema sinistra è stato il più votato nella fascia fra i 18 e i 34 anni. Ovvero chi maggiormente teme la riforma delle pensioni di Emmanuel Macron e le sue politiche del lavoro. E ha fatto il pieno nei centri urbani dove le contrapposizioni e le diseguaglianze fatte esplodere da due anni di pandemia sono diventate più stringenti.

Perché non godersi almeno una notte da Re? Perché, soprattutto, non rivendicare la bontà di un programma che quasi lo ha portato al ballottaggio e chiedere, quantomeno pro forma, agli altri due candidati di confrontarsi su argomenti qualificanti, prima di formalizzare il proprio endorsement e la propria indicazione di voto? Davvero il rischio di un’astensione record o addirittura di un voto strategico per far esplodere le contraddizioni in seno al sistema è così alto? Davvero Marine Le Pen può vincere fra due settimane?

No. Jean-Luc Mélenchon non tema l’onda nera all’Eliseo. Teme un Eliseogate. E, soprattutto, teme di rischiarvi indirettamente invischiato, in caso non prendesse le distanze a tempo di record dalla candidata della destra. Perché se non fossero bastate le accuse sgrammaticate di Emmanuel Macron verso Marine Le Pen alla vigilia del voto rispetto all’aiuto economica che quest’ultima otterrebbe dal Cremlino, è l’aria che tira in Europa ad aver fatto drizzare le antenne al candidato della sinistra estrema.

E ad avergli suggerito di chiamarsi fuori il prima possibile dalla disputa, non prima però di aver piantato un paletto molto visibile nel terreno: Non un nostro voto deve andare a Marine Le Pen! La quale sa benissimo che anche se tutto il 7% racimolato al primo turno da Eric Zemmour si unisse al circa 2% di Nicolas Dupont-Aignan non avrebbe speranze: troppi gli oltre 4 punti di distacco da colmare rispetto a Macron, quando l’aria che tira a livello di Fronte repubblicano è quella che rendeva soffocante l’atmosfera al Cirque d’Hiver.

Insomma, la possibilità che da qui al 24 ottobre emerga una manina russa finalizzata mantenere artificialmente in vita le speranze di Marine Le Pen - e garantire il casus belli al fronte opposto - è certificata dal cordone sanitario in stile austriaco che sta emergendo chiaramente. Jean-Luc Mélenchon con la sua fuga in avanti, degna di chi ha vinto la partita ma conscio di averlo fatto con un rigore inesistente, lo ha certificato: la corsa all’Eliseo e la crisi ucraina vivranno a una loro sovrapposizione a breve, una drammatizzazione che renderà platealmente visibile - tramite la veicolazione dei media - l’intento di Vladimir Putin di conquistare l’Europa attraverso le interferenze nel voto. D’altronde, proprio nel primo giorno di urne, il presidente Zelensky ha dichiarato chiaramente come sia intento e volontà del Cremlino colpire e coinvolgere anche l’Ue nelle sue mire espansioniste.

Chiaramente con mezzi differenti da quelli utilizzati in Ucraina. E sempre nel giorno della Francia sotto i riflettori, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha annunciato la creazione di un esercito permanente ai confini europei per operare deterrenza strutturale verso Mosca. Se la crisi era iniziata con la spinta alla nascita di una forza armata dell’Europa, sta terminando con un rafforzamento da Guerra fredda del ruolo Nato. Ovvero di Stati Uniti e Gran Bretagna, i due soci forti del Patto atlantico. Paradossale, insomma. Ma sempre più reale. E che dovrebbe far riflettere, soprattutto che si definisce europeista.

Il voto francese, di fatto, potrebbe tramutarsi nel diretto d’incontro che piega le resistenze anche del pugile più caparbio e impermeabile al dolore: l’ultima fumata nera sull’ampliamento delle sanzioni al campo energetico in seno all’Ue, infatti, ha generato non poco scoramento a Washington. Se la Germania intende continuare a porre il proprio veto, spalleggiata dall’Austria che infatti vede il suo presidente operare da pontiere in queste ore fra Kiev e Mosca, occorrerà forzare la mano su Parigi. E far crollare l’ultimo bastione di resistenza.

Non a caso, l’Italia ha immediatamente rotto gli indugi. E dopo aver ingaggiato l’ennesimo scontro verbale diretto con la Russia proprio sul tema delle sanzioni, ha visto da un lato il PD forzare la mano sul concetto di una Marine Le Pen in versione cavallo di Troia del Cremlino in Europa e dall’altro Draghi e Di Maio correre in Algeria per cercare di chiudere un accordo che garantisca un terzo del gas russo che potrebbe venire a mancare. Prima del previsto, forse. Ma in maniera ormai certa, stante il peggioramento costante dei rapporti con Mosca. E quello dei dati macro dell’economia del Paese.

Insomma, le presidenziali francesi sono di fatto destinate a tramutarsi nella versione europea del voto Usa del 2016. Questa volta, però, senza sorpresa finale. Basterà lo scandalo, vero o presunto, delle pressioni russe sulla corsa per l’Eliseo. Il massimo esercizio democratico di una nazione del G7, di fatto, è ridotto a proxy di una guerra globale. A meno di una ribellione totale della base di Jean-Luc Mèlenchon. Improbabile. Quasi impossibile. Ma che in caso contrario, sancirà davvero la fine dell’Europa. Altro che cavallo di Troia russo. Sarà il coperchio del vaso di Pandora della stagflazione strutturale a saltare.

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